LA TORINESITÀ
Vattimo: un valore forse perdutoda opporre alla "Milano da bere"
Incarna la città cresciuta sui valori dell'azionismo, della solidarietà, del movimento operaio prima e della Resistenza poi: ma esiste ancora? Alla scoperta di un sostantivo tornato in auge ma difficile da interpretare nel significato
Vattimo: un valore forse perdutoda opporre alla "Milano da bere"
Incarna la città cresciuta sui valori dell'azionismo, della solidarietà, del movimento operaio prima e della Resistenza poi: ma esiste ancora? Alla scoperta di un sostantivo tornato in auge ma difficile da interpretare nel significato
di VERA SCHIAVAZZI
Repubblica Torino, 18 maggio 2010
Repubblica Torino, 18 maggio 2010
"Io la definisco attraverso il suo contrario: torinesità è l'opposto della 'Milano da bere', è la città cresciuta sui valori dell'azionismo, della solidarietà e del movimento operaio prima, poi su quelli della Resistenza. Insomma, quella di don Bosco, di Gobetti e di Gramsci. Ma esiste ancora? Un poco ne dubito". Gianni Vattimo prova a scherzarci su, poi torna serio: "La torinesità sono i punti percentuali di vantaggio che in città il centrosinistra mantiene ancora sul centrodestra. La sua fine sarebbe il ribaltarsi di questa situazione, come è già successo in Regione".
Vattimo, ha senso chiedere che il presidente di una grande banca rappresenti una città?
"Non credo. Conosco Siniscalco, lo ritengo una persona rispettabile, non penso però che chi come lui siede nel board di grandi banche abbia a cuore i torinesi piuttosto che i milanesi. Il denaro non ha cittadinanza. E fin dagli inizi della fusione tra Intesa e Sanpaolo si è capito con chiarezza che questa operazione avrebbe forse giovato agli utili della banca, non certo ai suoi correntisti".
La vicenda delle nomine, però, ha messo in luce la debolezza della politica. E qualcuno dice che è finita un'epoca, quella iniziata con Castellani sindaco...
"E' vero, è finita. Io voterei di nuovo per Chiamparino, nel complesso il bilancio è positivo, ma la sua scommessa su una città diversa, con un destino autonomo da quello della Fiat, non è stata coronata dal successo. Si è fatto di tutto per incoraggiare nuove forme di economia, ma la verità è che le grandi multinazionali tendono ad andarsene. Così, il sindaco non aveva alternative a quella di puntare sui grandi eventi. La torinesità però non se ne avvantaggia...".
In che senso? Si annacqua?
"Chiunque vada a fare due passi in centro può capirlo da sé. L'idea di puntare sulla cultura e sul turismo viene sostenuta ormai da anni, io stesso ho dedicato al tema decine di riunioni iniziando con Cesare Annibaldi e col povero Rivetti. Ma il successo degli 'eventì è inversamente proporzionale a quello spirito della città che si voleva rilanciare, e in un certo senso viola la torinesità di cui si parla. Non so neppure io se mi sento ancora 'torinesè o no, pur avendo mamma valsusina e papà calabrese...".
Era meglio per Torino restare in disparte?
"Era meglio e potrebbe esserlo ancora non puntare soltanto sulla qualità. Le città non si possono 'rilanciarè all'infinito, a un certo punto occorre ammettere l'idea che anch'esse invecchiano, come i loro abitanti, e che occorre dunque puntare non tanto sulla crescita quanto sulla qualità. A cominciare dai servizi per chi ci vive. Quando lo dissi la prima volta venni accusato di snobbare la classe operaia. In realtà non la snobbo affatto, anzi ne sento la mancanza proprio perché è la radice della cultura di Torino. Diciamo che gli operai ci sono ancora ma contano meno, la loro voce non ha il peso giusto. E che una visione del futuro di Torino in termini di lotta di classe non andrebbe molto lontano, come dimostra anche il fatto che Mirafiori ormai si è ridotta in una misura che soltanto vent'anni fa ci avrebbe spinto alla disperazione".
Resta la peculiarità del carattere: è ancora vero che i torinesi sono educati e contegnosi?
"Non mi pare. Ho fatto un gestaccio a un tizio che mi aveva tagliato la strada, è sceso dall'auto gridando in piemontese e voleva picchiarmi. Credo ai valori culturali legati a questa città più che alle sue caratteristiche 'etniche'. E non credo che la cultura torinese possa sorreggersi o rilanciarsi sulla base del numero di visitatori o pellegrini che attira: provo un brivido freddo se penso che Torino sia sinonimo di Sindone, senza nulla togliere a chi la adora, o anche di Museo Egizio".
Insomma, non vede torinesità nel suo futuro...
"Continuano a piacermi le stesse cose, camminare in piazza Carignano, andare a piedi fino al Cimitero, constatando così che anche i quartieri lungo la Dora oggi sono bellissimi. Solo, non credo che si debba puntare sulla competizione, sui numeri, sulla gara con altre città. C'è più forza nell'idea leghista di 'prendersi le banché - riaffermando la politica più di una singola città - che nell'ansia di attirare 'eventì sempre più affollati. Se facciamo così, avremo sempre nostalgia di noi stessi".
3 commenti:
Bravo Vattimo. Una mente onesta ed autocritica. La Torino migliore non può rappresentarsi nella Sindone e nel suo basso mercanteggiare .
Come sarebbe più bella Torino se ci fossero in giro persone più simili a Vattimo: più schiette meno ipocrite.
Gli automobilisti sono assassini anche quando non investono..
W LA BIGA (non è una parolaccia, intendo la bici, eheh)
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