Il Sole 24 ore, 7 ottobre 2010. Intervista di Stefano Biolchini
«Il vero nodo è il chi organizza gli spazi pubblici». Non ha dubbi il filosofo Gianni Vattimo nel rispondere ai quesiti posti da Christian Raimo sulle pagine del nostro giornale sull'esistenza di uno spazio pubblico per la cultura in Italia. «Chi è l'istitutore di questi spazi - rilancia provocatoriamente Vattimo - perché se, per esempio, Il Sole24ore apre lo spazio è anche chiaro che ne detenga le chiavi di accesso»Lei ritiene che occorra perciò meglio parlare di una pluralità di spazi pubblici?
«Certamente gli spazi pubblici per il dibattito culturale debbono essere svariate tv, giornali e accessi. Poi io stesso scelgo i miei interlocutori per affinità, ma solo se esiste un pluralismo non finto si crea un vero spazio. Diversamente...»
Diversamente ci dica...anche definendo la sua idea di spazio pubblico.
«In Spagna c'è un giornale Publico che è uno spazio del governo che io leggo regolarmente perché tutti gli altri sono di editori non favorevoli alla sinistra di Zapatero».
Non rischia, quindi, proprio il controllo pubblico di farla cadere in contraddizione?
«Guardi all'esempio di Telegrapho in Equador. Stava fallendo ed è stato nazionalizzato. Il governo ne è azionista di maggioranza. Di proprietà pubbblica e quindi più pubblico, anche se certo si sa che è poi ben difficile separare il pubblico dalle proteste e posizioni del Governo in carica. La Rai pubblica ha una Commissione di vigilanza che è il massimo che si possa creare, anche se il Parlamento non è poi quello con tre "p" maiuscole. Putroppo l'equilibrio è davvero difficile. Il nostro spazio, comunque, per essere tale deve essere di molti orizzonti, espressione di partiti, di gruppi finanziari che debbono poter confliggere senza assoggettarsi a nessun monopolio. Figuriamoci, dunque, se possa fidarmi di uno spazio aperto dal Sole24ore. Idem ovviamente se fosse anche il Manifesto: quando mai si pubblica tutto quel che gli scrittori o intellettuali che dir si voglia mandano ai giornali...»
Il vero limite è quindi nei conflitti di interesse?
«Ci possono essere leggi che li limitino. Noi oggi in Italia abbiamo la legge Gasparri che lascia tv e giornali nelle mani del premier Berlusconi. Bisognerebbe porre un limite alle concentrazioni, certo.»
Questo però non dovrebbe giustificare il disimpegno come l'ininfluenza del gesto o dell'intervento degli intellettuali che vogliano impegnarsi veramente...
«È la classica domanda da un milione di dollari. Ci aveva provato Marcello Baraghini, l'editore di Stampa Alternativa. Ha aperto la porta a scrittori sconosciuti. Ma io stesso quando parlo di questi problemi mi sento un uomo di parte. Il mio grido è "decapitiamo Berlusconi, ovviamente metaforicamente". Pensi in proposito alla polemica sull'Einaudi che ora gli appartiene. Pensiamo a quanto sostenuto da Saramago sulla sua casa editrice».
Insomma a questo punto lei di spazi liberi ne lascia ben pochi. L'esperienza di Pier Paolo Pasolini per lei oggi sarebbe irripetibile?
«Oggi PPP probabilmente non scriverebbe più per un grande giornale. Quella era la stagione di Piero Ottone. Non solo non c'è più Pasolini, non ci sono più nemmeno le condizioni. Oggi intellettuali quali Umberto Eco o Claudio Magris sono moralisti che vanno bene per tutti, non danno fastidio a nessuno. Intellettuali comeTony Negri non scrivono più sui giornali»
Uno come Aldo Busi ha provato a suo modo a ritagliarsi degli spazi in programmi trash...
«Sì ma la differenza è che Pasolini faceva scandalo per quel che diceva, Busi vuole farlo. E non si tratta di un'obiezione moralista per Busi, solo che i suoi scandali sono come prodotti a freddo».
Vero è che anche la sinistra che ha dominato lo spazio del dibattito culturale del secolo scorso si è come dissolta...
«La sinistra non convince più per aver buttato a mare la sua ideologia comunista. Sto per pubblicare Comunismo ermeneutico per il riscatto. Ma certo come si può pretendere di avere intellettuali che si impegnino per il Libero mercato o per le lenzuolate di Bersani. Non ci sono slanci per la sinistra».
Provo ancora. A questo punto non ci resta che lo spazio di Internet e dei social network?
«Questo potrebbe essere il vero spazio pubblico. Anche se, con la scusa di perseguire reati, si creano progetti che vogliono imbavagliarci. Se io le mando un messaggio sospetto sempre che passi da Washington».
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