martedì 28 febbraio 2012

Intervista sulla Tav

No Tav, Vattimo (Idv): Uno spreco per dare lavoro a una cooperativa del Pd  
L'Avanti, 28 febbraio 2012. Di Raffaele Ettore

Val di Susa in stato d’allarme. Ieri mattina le proteste a Chiomonte contro gli espropri per l’ampliamento del cantiere della linea Tav Torino-Lione, il blitz anticipato delle forze dell’ordine e un ferito grave per un incidente. I residenti sono preoccupati e spaventati, e gli esponenti del movimento No Tav si definiscono sconcertati. Uno sconcerto che traspare anche dalle parole di Gianni Vattimo, parlamentare europeo con Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, filosofo e uno tra i più importanti sostenitori della causa No Tav.

Com’è la situazione al cantiere adesso?
Dopo l’incidente di ieri mattina, non si muove più foglia. L’esproprio è cominciato, è pieno di militari. Intanto i manifestanti si sono spostati a Torino.
I No Tav hanno definito tutta la manovra uno sperpero di soldi pubblici, oltre che una vera e propria violenza rispetto alla Val di Susa.
Solo il mantenimento delle truppe occupanti sta costando allo Stato diverse centinaia di migliaia di euro. Lo scavo non comincerà mai. Come fu a Messina con il ponte, che oggi non è più una priorità, così sarà anche in Val di Susa. Tutti soldi buttati al vento.
Allora perché costruiscono?
Evidentemente qualcuno ha un forte interesse a farlo.
Chi?
Le aziende che si occupano dei cantieri ma soprattutto i partiti che “ciucciano” dai costruttori. Sembra che a capo del progetto di costruzione ci sia una cooperativa reggioemiliana, finanziata (guarda un po’) dal Pd. E basta prestare attenzione alle recenti polemiche per capire che il Pd, almeno economicamente, non è proprio il massimo della trasparenza.
A Chiomonte le forze dell’Ordine erano “attese” per martedì. Perché questo blitz anticipato?
I ladri vengono di notte, e i banditi arrivano sempre all’alba. Vogliono espropriare dei terreni che non sono loro, creando così una fattispecie tutta nuova: la legge che è fuorilegge. Siamo di fronte ad una situazione che definire di estrema illegalità ancora non rende pienamente il concetto. La parte occupata militarmente è solo parzialmente riconducibile al progetto già approvato, il resto è occupato in maniera del tutto arbitraria. Siamo davvero all’assurdo: uno Stato che non rispetta più la proprietà privata può essere definito ancora Stato? I terreni possono essere espropriati così, manu militari? Famiglie buttate per strada, e per cosa poi? È come se avessero creato una dimensione parallela, un pezzo d’Italia sottratto ad ogni legge al di fuori di quella militare. Sembra davvero di essere in Palestina, e ha pienamente ragione chi definisce questa una situazione di emergenza democratica.
Lei è stato lì?
Sono andato circa dieci giorni fa: non stavano facendo niente. C’era una grande occupazione militare, un grande fermento.
Pare che in zona stesse “pattugliando” anche un mezzo blindato.
Personalmente non l’ho visto, ma ne ho avuto notizia. Forse era lì perché non sapevano dove parcheggiarlo. Parlando seriamente: sono lì senza alcun titolo. Si barricano istituzionalmente dietro quest’etichetta della “Zona d’interesse strategico” affibbiata dal Cipe (Comitato Interministeriale per la programmazione economica, ndr): ma che diavolo vuol dire? La verità è che c’è una guerra ed è una situazione che, glielo dico senza mezzi termini, mi fa veramente vomitare.
Almeno le ordinanze di esproprio sono arrivate?
Ci hanno avvisato il 3 luglio scorso, dicendo che sarebbero partite le lettere di esproprio. Non si capisce queste famose lettere che fine hanno fatto, perché non sono mai arrivate. Personalmente credo che non siano neanche mai partite.

Comunicato della delegazione NoTav in Consiglio comunale, Torino

COMUNICATO DELLA DELEGAZIONE NOTAV IN CONSIGLIO COMUNALE
 
Una delegazione NOTAV è stata ammessa nella Sede del Comune di Torino, dove è in corso il Consiglio Comunale. Davanti al Comune vi erano i manifestanti del Presidio in solidarietà con Luca Abbà per protestare contro l’intollerabile illegalità e violenza della situazione in Clarea.. La delegazione era composta da Andrea Merlone, Giuliano Ramazzotti, Simonetta Zandiri, Massimo Zucchetti. La delegazione ha assistito ai lavori del Consiglio Comunale, i cui ultimi due punti riguardavano i fatti della Clarea di oggi 27.2 e poi le mozioni di solidarietà al Procuratore Giancarlo Caselli. Il sindaco Piero Fassino ha aperto la discussione del primo punto con una dichiarazione che – pur in una generica affermazione sulla liceità delle contestazioni ad una grande opera “purché pacifiche” – ha reiterato inaccettabili luoghi comuni sulla supposta ”ala violenta” del Movimento NOTAV, sulla violenza che a suo parere proverrebbe soltanto dai manifestanti e non dalle forze dell’ordine, e ha fornito una versione assolutamente distorta dell’incidente a Luca Abbà, che a suo dire sarebbe caduto da solo in quanto “stava telefonando con un apparecchio mobile” mentre era arrampicato. Ha infine ribadito la “assoluta necessità dell’opera”. Ha poi parlato per la parte maggiore di un giornalista della Stampa spintonato ed altre “nostre” violenze, trascurando completamente quanto successo sabato scorso a Porta Nuova e oggi in Clarea. Gli interventi degli esponenti della destra e della pseudosinistra vengono omessi per carità di patria. Unici interventi di buon senso, verità e decenza da parte di Vittorio Bertola e di Michele Curto.
Sul punto successivo, la solidarietà al procuratore Caselli, è un coro unanime. Passa una mozione bipartisan della destra-sinistra che unisce alla solidarietà un intollerabile pistolotto protav. Respinta la mozione di SEL che scindeva le due cose, evitando di arruolare a forza Caselli nel protav, come invece di fatto è accaduto.
Finalmente, dopo tre ore di attesa, si è avuta un’audizione dei Capigruppo durante la quale la delegazione ha potuto esprimere le proprie posizioni al Consiglio. Erano presenti il Presidente del Consiglio Comunale e tre capigruppo oltre a Bertola e Curto. Simonetta Zandiri ha ricordato tutte le verità negate sugli eventi di oggi, chiarendo i reali fatti sull’incidente a Luca Abbà e anche le dinamiche dei fatti accaduti sabato sera a Porta Nuova. Ha smentito le affermazione del capogruppo PD (nessuno di noi ha mia chiesto la militarizzazione della Valle), ricordando le uscite del signor Stefano Esposito, citando il quale tutti gli esponenti del consiglio comunale presenti hanno alzato gli occhi al cielo. Ha infine ricordato come in un cantiere o presunto tale, in seguito ad un incidente, sia necessario sospendere i lavori. Andrea Merlone ha ribadito il fatto che la situazione di militarizzazione a Chiomonte e in Clarea sia inaccettabile dal punto di vista legale e di ordine pubblico e costituisca un allarme anche per il comune di Torino: come si potranno tollerare queste situazioni a Torino: fortini, zone militarizzate, check point in una città di un milone di abitanti? Come si pretende di gestire una città militarizzata? Massimo Zucchetti ha parlato sugli aspetti di impatto ambientale e salute, ricordando come il Politecnico di Torino abbia messo in evidenza con moltissimi studi quanto esso sia stato trattato con leggerezza inaccettabile, e citando in particolare gli aspetti più rilevanti per Torino, quali le concentrazioni di particolato fine, di NOx e altri inquinanti dovute al cantiere, che gli stessi proponenti ammettono avere impatti potenziali sulla salute dell’ordine di aumenti delle patologie del 10-20% in alta valle: cosa succederebbe a Torino? Era presente anche l’eurodeputato Gianni Vattimo, il quale è intervenuto in chiusura ricordando come in una recente visita al non cantiere con alcuni colleghi abbia potuto rilevarne l’assoluta inesistenza dal punto di vista di un’opera civile e non militare, e la sostanziale illegalità. Dopo gli interventi in appoggio alle ragioni dei NOTAV da parte di Bertola e Curto, è stato proposto che le Commissioni II e VI del Consiglio Comunale vengano convocate e interessate dai problemi sollevati dalla delegazione NOTAV per una discussione.
I componenti della delegazione NOTAV, nominati spontaneamente dal presidio NOTAV, pur ringraziando Vittorio Bertola e Michele Curto, esprimono in sostanza la loro profonda delusione per i risultati emersi, e anche il loro profondo disgusto per i discorsi sentiti dai rappresentanti in Consiglio Comunale, esclusi Bertola e Curto, ai quali esprimono la loro personale solidarietà umana per dover frequentare per mandato politico, quell’ambiente e anche certi personaggi.

lunedì 27 febbraio 2012

Il Tav è una truffa

Susa, 25 febbraio 2012. Al termine dell'affollata e pacifica marcia di 75000 No Tav, Gianni Vattimo, illustre filosofo ed europarlamentare spiega come il Tav sia una truffa ai danni dell'Europa (e dei cittadini italiani). "Non fidatevi del Parlamento... la Valle di Susa è l'ultimo baluardo della democrazia".

domenica 26 febbraio 2012

Manifestazione in Val di Susa

Perino. ''Bisogna continuare a dire no alla tav e non fermarsi mai''

Pacifico il corteo No Tav. Adesioni da tutt’Italia
Si è svolta senza problemi di ordine pubblico la manifestazione contro l’alta velocità ferroviaria Torino-Lione. Il corteo pacifico, partito da Bussoleno verso le 13:00, è arrivato a Susa inalberando striscioni e gonfaloni. Ampia partecipazione di famiglie con bambini. I manifestanti sono arrivati da varie parti d'Italia: Toscana, Nord est, Roma, Milano e Genova

Rai Giornale Radio News, 25 febbraio 2012 
SUSA - La stima degli organizzatori, 75 mila partecipanti, è forse un po' troppo generosa, mentre quella Questura di Torino, che parla di poco più di 12 mila persone, forse tende all'avarizia. Ma oggi, in Valle di Susa, è certo che molte migliaia di persone hanno dato vita e forma al popolo No Tav che ha sfilato - in modo pacifico e senza alcun incidente - da Bussoleno a Susa.
L'esito della manifestazione, promossa dalla Comunità montana, ha lasciato soddisfatti i comitati che si oppongono alla ferrovia ad alta velocità Torino-Lione, ma il pensiero corre già alla prossima partita: quella degli espropri.
L'area del cantiere di Chiomonte deve essere allargata passando sopra i terreni acquistati a scopo preventivo, qualche anno fa, da centinaia di simpatizzanti No Tav. Alberto Perino, leader carismatico del movimento, lancia il grido di battaglia. “Il blitz delle forze dell'ordine - è la sua previsione - avverrà martedì mattina, dobbiamo raggiungere e occupare la zona. Delle ordinanze non ci importa nulla. Vedremo se ci porteranno via di peso”.
Anche gli avvocati dei No Tav si preparano alla battaglia, in questo caso a colpi di carte bollate: sono pronti i ricorsi al Tar e persino alla magistratura penale se, come si prevede, l'irruzione si scatenerà prima della notifica delle ordinanze di esproprio.
“Queste manifestazioni sono l'ultimo baluardo della democrazia nel nostro Paese”, dice l'europarlamentare Gianni Vattimo (Idv), uno dei partecipanti. “La migliore risposta a chi ritiene che i No Tav siano un problema di ordine pubblico”, aggiunge Paolo Ferrero, leader di Rifondazione Comunista, data da “gente perbene”, ha aggiunto Angelo Bonelli, presidente dei Verdi.
Oggi a Bussoleno sono arrivati da ogni parte d'Italia, dimostrando che il movimento contro il supertreno è ormai una calamita per i gruppi e le associazioni che si oppongono a un modello di sviluppo che passa per le grandi infrastrutture: dall'Alto Adige sono arrivati quelli che non vogliono la Galleria di base del Brennero; dal Veneto i contrari alla base militare Usa al Dal Molin e alla maxi-strada Pedemontana nel Vicentino; dalla Sicilia un drappello di “No Ponte”. Un'ottantina di pullman hanno portato a Bussoleno dimostranti da Roma, dalla Toscana, dal Sud e dal Nord Est, due treni quelli di Genova e Milano.
Non ci sono stati incidenti, né momenti di tensione e nemmeno il temuto tentativo di occupare l'autostrada Torino-Bardonecchia. Contro Gian Carlo Caselli, il magistrato che conduce l'inchiesta sugli scontri dell'estate scorsa e che ha chiesto e ottenuto l'arresto di 26 attivisti No Tav, si è sentito solo un coretto estemporaneo. Ma a manifestare la solidarietà agli arrestati c'era lo striscione portato dagli amici e dai parenti (e nel corso del corteo è stata improvvisata anche una raccolta fondi per le spese legali).
“Qualche mese fa abbiamo ricevuto un foglio di via che ci impedisce di entrare in Valle ma noi non lo rispettiamo”, ha proclamato uno speaker mentre alcuni dimostranti stracciavano platealmente delle carte.
Al corteo c'erano anche i bambini, che cantavano slogan “contro il treno cattivo”, il carro allegorico dell'artista torinese Piero Gilardi, i musicisti di strada. Osvaldo Napoli, deputato del Pdl, se la prende contro la presenza dei sindaci valsusini in fascia tricolore che hanno aperto il corteo. “Fa rabbrividire - dice - vederli a una manifestazione che solidarizza con i violenti”. Le dimostrazioni di solidarietà sono “gravi” anche per il sindacato di polizia Sap. I No Tav fanno litigare anche il Pd. Ieri il segretario regionale, Gianfranco Morgando, aveva annunciato che per chi si schiera con il movimento “il rinnovo della tessera non è automatico”. Il numero uno dei simpatizzanti con la tessera, Sandro Plano, presidente della Comunità montana, gli ha risposto, mentre capeggiava il corteo, che “se il Pd vuole vincere le elezioni deve fare campagna di inclusione e non di esclusione”.

sabato 25 febbraio 2012

Presentazione di "Della realtà" al Circolo dei Lettori, Torino, 1 marzo

Gianni Vattimo presenta "Della realtà. Fini della filosofia". 

Giovedì 1 marzo 2012, ore 21.00 al Circolo dei lettori 

IL CIRCOLO DEI LETTORI Torino   

Telefono: 011 432 68 27   
E-Mail: info@circololettori.it 


GIANNI VATTIMO (Torino 1936) è filosofo noto a livello internazionale. È professore emerito di Filosofia all’Università di Torino ed è parlamentare europeo. Con Garzanti ha pubblicato Le avventure della differenza (1980, 1988); La fine della modernità (1985, 1991); La società trasparente (1989); Filosofia al presente (1990); Credere di credere (1996, 1998); Dialogo con Nietzsche (2000); Dopo la cristianità (2002); Nichilismo ed emancipazione (2003) e Il futuro della religione (2005, con Richard Rorty). Nel catalogo Garzanti è disponibile anche Una filosofia debole. Saggi in onore di Gianni Vattimo (2012), a cura di Santiago Zabala.

Giovedì 1 marzo 2012, ore 21.00
Il Circolo dei Lettori, Palazzo Graneri della Roccia, via Bogino 9 Torino  
incontrano l’autore
Gaetano Chiurazzi  e Franca D’Agostini
introduce
Antonella Parigi

Della realtà è un saggio filosofico che documenta un percorso di conoscenza e che alla riflessione sul pensiero di Heidegger unisce una costante attenzione alle trasformazioni della società contemporanea. È al tempo stesso il romanzo di un imprevedibile ribaltamento di prospettiva: un cambiamento che ci riguarda tutti, perché è profondamente radicato nella storia di questi ultimi decenni.Alla metà degli anni Ottanta, quando Gianni Vattimo diede spessore filosofico al postmoderno, fu accusato di essere il cantore del neocapitalismo trionfante e delle sue illusioni. La critica radicale alle ideologie e l'accento sull'interpretazione sembravano funzionali al nuovo orizzonte, sempre più dominato dal virtuale e dalla liquidità immateriale - a cominciare da quella del denaro e della finanza. In questi decenni, dopo che le ideologie sono state scardinate e abbandonate anche sull'onda del «pensiero debole», a dominarci sono stati il principio di realtà e la presunta oggettività delle leggi economiche. Oggi, mentre il capitalismo attraversa una delle crisi più gravi della sua storia, il richiamo alla realtà, in apparenza innocente e intriso di buon senso, diventa uno strumento per imporre il conformismo e accettazione dell'ordine vigente. Contro questa ideologia autoritaria, rivendica Vattimo, l'ermeneutica - ovvero la costante pratica dell'interpretazione - diventa uno straordinario strumento conoscitivo, proprio perché ci consente di superare la dittatura del presente. In questo senso, può diventare la base di un progetto di trasformazione e di liberazione che ha immediate ricadute politiche. 
  • Titolo: Della realtà. Fini della filosofia
  • Autore: Gianni Vattimo
  • Editore: Garzanti Libri
  • Collana: Saggi
  • Data di Pubblicazione: 23 Febbraio 2012
  • ISBN: 8811597013
  • ISBN-13: 9788811597018
  • Pagine: 231

How to Be a European (Union) Philosopher

Un articolo di Santiago Zabala sul New York Times, 23 febbraio 2012

How to Be a European (Union) Philosopher

One of the motivations behind the creation of the European Union was to assist in the social, economic and individual flourishing of citizens and workers who actually felt European regardless of their birthplace or current residence. I’ve been told that I not only embody such citizenship — I was raised in Rome, Vienna and Geneva, studied philosophy in Turin and Berlin, and now work in Barcelona — but also present a model of a European Union philosopher (because I  promote and teach continental philosophy). While as an E.U. citizen I’m delighted we are all allowed to reside in all these beautiful cities of the continent, as a philosopher I’m alarmed by the E.U.’s ongoing existential exclusions — that is, its forgetfulness of being. I’m not referring simply to a devaluation of the philosopher’s role in society, which is much more pronounced in other parts of the world, but rather something much more vital.

When we speak of being from the existential-hermeneutic point of view, as those interested in philosophy well know, we are not referring to the factual existence of things but rather to the force of the people, thinkers and artists who generated our history. Thus, each epoch can be alluded to in the name that great philosophers have given to being in their work — “act” in Aquinas Middle Ages, “absolute spirit” in Hegel’s modernity, or “trace” in Derrida’s postmodernity. It is between being and nothing. But being also denotes how our existence is hermeneutic, in other words, a distinctive interpretative project in search of autonomous life. We exist first and foremost as creatures who manage to question our own being and in this way project our lives. Without this distinctiveness we would not exist; that is, our lives would be reduced to a predetermined subordination to the dominant philosophical or political system.

The problem in 2012 is that E.U. policies are presented as if we have reached the end of history: after decades of war, Europe is finally united culturally, economically and soon also militarily. This, in the E.U. conception, is the best possible governance we could hope for. But as the ongoing protests throughout Europe point out, history has not ended: as citizens we continue to project our lives in ways that diverge from the Union’s neoliberal game plan. The fact that they are promoting technocratic governance does not imply that the nations of Europe are incapable of governing themselves but rather that they are being trammeled into compliance with the E.U. measures, classifications and rankings.  But where do these rankings come from?

Classification and the creation of hierarchies, whether financial, social or educational, are primarily developments of Western metaphysics, the object-oriented knowledge upon which we have modeled not only science but thought in general. The problem with this model is not theoretical, as we’ve been accustomed to believe, but rather ethical because it obliges intellectuals (whether economist, constitutionalist or philosopher) to leave out those who are not included within the hierarchies. The problem in considering our intellectuals —  “Newtonian physical scientist[s]” as Richard Rorty pointed out — is that this kind of thinker will center social reforms around “what human beings are like — not knowledge of what Greeks or Frenchmen or Chinese are like, but of humanity as such.” But metaphysical concepts such as “humanity” inevitably impose values and beliefs upon those who do not share them, as we’ve experienced with the horrors of colonialism. If so many philosophers at the beginning of the 20th century (Spengler, Popper and Arendt, for example) were concerned with the “total subordination of reason to metaphysical reality” it’s because, as Herbert Marcuse pointed out, it “prepares the way for racist ideology.”

While it would be inappropriate to consider the austerity plans run by the European Central Bank, the European Commission and the International Monetary Fund (recently grouped together as the “troika”) ideologically “racist,” they are certainly “metaphysically violent.” As Paul Krugman explained in a New York Times magazine article a few years ago, the problem with establishment economists is that they mistake mathematics for truth; they are “seduced by the vision of a perfect, frictionless market system [and] need to abandon the neat but wrong solution of assuming that everyone is rational and markets work perfectly.” The economists of the troika are not imposing violent austerity measures simply to politically dominate the European nations but rather to exclude any competing existential project, that is, any alteration to the troika’s vision of “the market.”

These proposed alterations, as Joseph Stiglitz pointed out, are essentially proposals of fiscal stimulus and support for individual citizens who have suffered directly in the financial crisis; but such actions would shake the “measures” of “fiscal discipline” that the European leaders are imposing upon its members. If, for the benefit of the Union, we must submit to measures that inflict social injuries upon our weakest citizens, it’s worth asking whether the euro is worth saving.

The fact that the European Research Council funds predominantly analytic philosophy projects, as well as those subservient to the hard sciences, perhaps is an indication that they prefer intellectuals who submit “reality to reason” rather than fighting the ongoing exclusion of the most vulnerable citizens by those in power. The work of a philosopher in Europe must involve guarding being, namely the existential lives of those not in power, from systems of thought that seek to exclude them. Before the parentheses in this article’s title can be removed, the European Union must reconsider the existential nature not only of citizens but also of philosophy itself since it seems to have forgotten both.
 
Santiago Zabala is ICREA Research Professor of Philosophy at the University of Barcelona. His books include “The Hermeneutic Nature of Analytic Philosophy,” “The Remains of Being” and, most recently, “Hermeneutic Communism,” written with Gianni Vattimo).

giovedì 23 febbraio 2012

Esce "Una filosofia debole": le mie conclusioni

La metafisica è finita, filosofiamo in pace

La conclusione di Vattimo a un volume di saggi in suo onore. Una “questione di metodo” contro ogni pretesa di dominio

La Stampa, 23 febbraio 2012

Un problema preliminare, con cui la filosofia contemporanea non può non fare i conti se vuole esercitarsi ancora come filosofia, e non solo come saggistica o come industriosità storiografica sul pensiero del passato, né ridursi a pura disciplina ausiliaria delle scienze positive (come epistemologia, metodologia, logica), è quello posto dalla critica radicale della metafisica. Bisogna sottolineare qui l’aggettivo «radicale», perché solo questo tipo di critica della metafisica costituisce davvero un problema preliminare ineludibile per ogni discorso filosofico consapevole della propria responsabilità. Non sono radicali quelle forme di critica della metafisica che, più o meno esplicitamente, si limitano a considerarla come un punto di vista filosofico fra altri, una scuola o corrente, che per qualche ragione filosoficamente argomentata bisognerebbe oggi abbandonare. […]

La critica della metafisica è radicale, e si presenta come un problema preliminare ineludibile, una vera e propria «questione di metodo», là dove si formula in modo da non colpire solo determinati modi di far filosofia o determinati contenuti, ma la stessa possibilità della filosofia come tale, come discorso caratterizzato da un suo statuto logico e anche, inseparabilmente, sociale. Il maestro di questa critica radicale della metafisica è Nietzsche. Secondo lui, la filosofia si è formata e sviluppata come ricerca di un «mondo vero» che potesse fare da fondamento rassicurante alla incerta mutevolezza del mondo apparente. Questo mondo vero è stato di volta in volta identificato con le idee platoniche, con l’aldilà cristiano, con l’ a priori kantiano, con l’inconoscibile dei positivisti, finché la stessa logica che aveva mosso tutte queste trasformazioni - il bisogno di cercare un mondo vero autenticamente tale, capace di resistere alle critiche, di «fondare» - ha condotto a riconoscere la stessa idea di verità come una favola, una finzione utile in determinate condizioni di esistenza; tali condizioni sono venute meno, e questo fatto si esprime nella scoperta della verità come finzione.

Il problema che Nietzsche vede aprirsi a questo punto, in un mondo dove anche l’atteggiamento smascherante è stato smascherato, è quello del nichilismo: dobbiamo davvero pensare che il destino del pensiero, una volta scoperto il carattere non originario, ma divenuto e «funzionale», della stessa credenza nel valore della verità, o della credenza nel fondamento, sia quello di installarsi senza illusioni, come un «esprit fort», nel mondo della lotta di tutti contro tutti, nel quale i «deboli periscono» e si afferma solo la forza? O non accadrà piuttosto, come Nietzsche ipotizza alla fine del lungo frammento sul Nichilismo europeo (estate 1887), che in questo ambito siano destinati a trionfare piuttosto «i più moderati, quelli che non hanno bisogno di principi di fede estremi, quelli che non solo ammettono, ma anche amano una buona parte di caso e di assurdità»?

Nietzsche non sviluppa molto di più questa allusione ai «più moderati», ma è probabile che, come appare dai suoi appunti degli ultimi anni (gli stessi da cui proviene questo frammento sul nichilismo), l’uomo più moderato sia per lui l’artista, colui che sa sperimentare con una libertà che gli deriva, in definitiva, dall’aver superato anche l’interesse alla sopravvivenza. […]

La questione circa la fine della metafisica, la sua improseguibilità, non è ineludibile solo o principalmente in quanto si riesca a dimostrare che essa costituisce il movente, esplicito o implicito, delle correnti principali della filosofia novecentesca; ma soprattutto perché pone in discussione la stessa possibilità di continuare a filosofare. Ora, questa possibilità non è minacciata tanto dalla scoperta teoretica di altri metodi, altri tipi di discorso, altre fonti di verità ricorrendo alle quali si potrebbe fare a meno di filosofare e di argomentare metafisicamente. Ciò che getta una luce di sospetto sulla filosofia come tale e su ogni discorso che voglia riprenderne su piani e con metodi diversi le procedure di «fondazione», di afferramento di strutture originarie, principi, evidenze prime e cogenti, è la smascherata connessione che queste procedure di fondazione intrattengono con il dominio e la violenza.

Il riferimento a questa connessione, sebbene possa apparire accidentale, è invece quello che, preso sul serio, rende davvero radicale la critica della metafisica; senza di esso, tutto si riduce a sostituire semplicemente alle pretese verità metafisiche altre «verità» che, in mancanza di una dissoluzione critica radicale della stessa nozione di verità, finiscono per riproporsi come istanze di fondazione. È difficile, come pure si sarebbe tentati di fare richiamandosi a Hegel, opporre a una tale «questione di metodo» l’invito a provare a nuotare gettandosi in acqua, cioè a cominciare di fatto a costruire argomentazioni filosofiche cercando se non sia possibile, contro ogni eccesso di sospettosità, individuare alcune certezze sia pure relativamente «ultime» e generalmente condivise. Tuttavia l’invito a gettarsi in acqua, l’invito a filosofare,non può provenire dal nulla; esso si richiama necessariamente all’esistenza di una tradizione, di un linguaggio, di un metodo. Ma le eredità che riceviamo da questa tradizione non sono tutte equivalenti: tra di esse c’è l’annuncio nietzschiano della morte di Dio, la sua «esperienza» più che teoria, della fine della metafisica e, con essa, della filosofia.

Proprio se si vuole accettare la responsabilità che l’eredità della filosofia del passato ci impone, non si può non prendere sul serio anzitutto la questione preliminare di questa «esperienza». Proprio la fedeltà alla filosofia è ciò che impone di non eludere, anzitutto, la questione della sua negazione radicale; questione che, come si è visto, è indistricabilmente connessa a quella della violenza.
Gianni Vattimo

Sulle contestazioni a Caselli

"LE CONTESTAZIONI? GLI FACCIAMO SOLO PUBBLICITÀ"
La Repubblica, 23 febbraio 2012. Di
Ottavia Giustetti
 
«Abbiamo contestato il procuratore Caselli in tante occasioni ma se volete un'opinione personale gli abbiamo solo procurato tanta pubblicità. Ragazzi, basta così, lasciamogli presentare il suo libro, i suoi spettatori saranno sempre una ventina e non di più. È una pubblicità che non si merita come persona». Alberto Perino, leader del movimento No Tav, ha parlato così ieri, di fronte agli studenti dell'Università di Torino nel corso di una contestata «lezione» nell'aula 10 di Palazzo Nuovo, la sede delle facoltà umanistiche.
Tra il pubblico, oltre ai ragazzi del Collettivo autonomo, sedevano anche attivisti del movimento e il filosofo Gianni Vattimo. «Se potessi fare una domanda al Procuratore però chiederei se pensa che la legge sia come un paio di pantofole che si possono indossare o togliere secondo l´occorrenza - ha detto Perino - gli chiederei perché il poliziotto Luigi Spaccarotella è rimasto in servizio fino al terzo grado di giudizio mentre Giorgio e i No Tav si trovano in carcere?».
Secondo il leader della Valsusa lo Stato sta mettendo in atto una precisa strategia perché teme il movimento, lo sta accusando di antagonismo per poter alzare il livello di scontro e «mettere in atto la stessa strategia che negli anni Settanta è stata adottata contro il movimento operaio». «Ci hanno accusati di insubordinazione militare perché il tendone di fronte al museo è un tendone militare - ha concluso - peccato che non ce ne siano di altro tipo in commercio, lo tingeremo di un altro colore per non destare sospetto».
Anche Gianni Vattimo, che ha preso la parola al termine della lezione come rappresentante del Parlamento Europeo, ha speso parole durissime nei confronti del Procuratore capo di Torino: «Anche durante il fascismo i giudici applicavano la legge italiana - ha detto il filosofo - chiederei a Caselli di giudicare sì secondo la legge, ma con umanità».

mercoledì 22 febbraio 2012

Intervista di tempostretto.it (Messina)

«Se i giovani non leggono più Platone finiranno per abbandonarsi al rincoglionimento mentale»

«Destra e sinistra? Sì, sono ancora diverse. La Destra è natura, la Sinistra è cultura». «Le proteste in Val di Susa? Quanno ce vo', ce vo'». «Se qualcuno mi domanda perché sono cristiano, rispondo semplicemente: “perché non vedo nessuna ragione per non esserlo”». 
 
tempostretto.it (quotidiano online di Messina e provincia), 22 gennaio 2012. Intervista di Claudio Staiti

Venerdì 20 Gennaio, presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Messina, si è tenuto un incontro organizzato dall’associazione Marx XXI e dal Centro Studi Galvano della Volpe. Occasione, la presentazione del libro “Un Nietzsche italiano”, del ricercatore dell’Università di Urbino, Stefano Azzarà, sulla presenza di Nietzsche nel pensiero di Gianni Vattimo e sullo sdoganamento dall’etichetta di pensatore di destra che Nietzsche ha avuto per larga parte del ‘900. A margine dell’incontro-dibattito, introdotto e moderato dal prof. Carmelo Romeo dell’Università di Messina, Tempostretto.it  ha avuto il piacere di porre qualche domanda proprio al filosofo torinese Gianni Vattimo.

Sembra tramontata la figura del filosofo “portatore di verità”. Chi è oggi il filosofo? Trova che sia minacciato dalla frenesia della società attuale?
Il filosofo intanto è colui che fa professione di filosofia, cioè colui il quale continua a leggere brani della tradizione filosofica, li rende comprensibili agli altri, li traduce, e ne scrive di propri. E può anche scrivere delle critiche alle idee di verità e lo fa, al giorno d’oggi, cercando di rispondere a delle problematiche attuali. Perciò il filosofo è colui che guarda al presente e alle sue esigenze, utilizzando però una tradizione testuale che va sotto il nome di ‘filosofia’. Naturalmente ciascuno poi ha di quest’ultima la propria definizione... Non credo che la professione del filosofo sia minacciata... Certamente la minacciano coloro i quali pensano che non debba più essere insegnata nelle scuole, a vantaggio della matematica e dell’informatica. Se i giovani non leggono più Platone e tutti gli altri filosofi, saranno più facilmente preda dei propagandisti e finiranno, passatemi il termine, per abbandonarsi ad un puro e semplice rincoglionimento mentale.

Il filosofo del "pensiero debole" come si rapporta alla politica?
Il filosofo del pensiero debole è uno che sostiene che l’unico modo di emanciparsi per l’uomo non sia quello di cercare di realizzare un ideale prestabilito, “Vivi una vita vera!”, “Sii uomo!”, ma di ridurre la violenza che si impone contro le libertà, per esempio quella dell’eutanasia, quella della libera iniziativa se vogliamo ecc... Fa tutto ciò che credi sia giusto finché non ti scontri con le libertà dell’altro. Credo che il pensiero debole sia una forte teoria dell’emancipazione attraverso l’indebolimento, teoria diversa dal “non c’è niente da fare, stiamocene tranquilli”. Non sono così disperato da non fare più niente. Qualche volta mi viene la tentazione di pensare “sto lì, mi godo la mia pensione” ma mi dispiace e cambio subito idea.

La teoria del pensiero debole non prevede la violenza, eppure lei stesso è vicino alle proteste No Tav in Val di Susa e, in questi giorni (20 Gennaio ndr), i blocchi stradali in Sicilia si stanno ripercuotendo sull’economia locale...
Bloccare le autostrade in Val di Susa per protestare contro la Tav è una “violenza” legittimissima, Si può rispondere alla romana: “quanno ce vo', ce vo'”. (ride) Il problema è stabilire “quanno ce vo'”. E’ controproducente o produttivo? E’ un po’ come far saltare la Casa Bianca. Io, se potessi, lo farei... Ma se questo dovesse dare luogo ad un bombardamento atomico di tutta l’Europa, preferirei di no... si sceglie il male minore, si scelgono degli obiettivi e dei mezzi sufficientemente persuasivi per richiamare l’attenzione. Gli scioperi, le proteste sono questo.

Lei si definisce “comunista”. Come riesce a conciliare questo suo desiderio di approdo a quel tipo di società con l’idea attuale di “sinistra”, per alcuni, termine anacronistico e fuorviante?
Io vedo ancora una diversità fra destra e sinistra. E se devo definirle, penso che la destra è quella che vuole utilizzare differenze naturali a scopo di sviluppo e la sinistra è quella che vuole correggere tali differenze in modo da mettere tutti in condizione di competere sportivamente. Questa secondo me è una differenza fondamentale. La destra è sempre tendenzialmente razzista, darwiniana, “vinca il più forte”, e invece la sinistra deve tendere al rimedio. La sinistra è cultura, la destra è natura. La destra è naturalista, la sinistra è culturalista. E il comunismo è, come dire, l’unico ideale di società che riesco a coltivare, volete che coltivi un’ideale di società che produce di più e per pochi? Tutte le società molto evolute, come gli Stati Uniti, sono anche società di gente esclusa. Sono comunista perché guardo ad un progresso tecnologico controllato da un potere popolare. Laddove c’è solo una di queste due componenti non si attua realmente il comunismo, mettere insieme le due cose è lo stesso ideale di Lenin...

L’uomo moderno sembra perdere sempre più certezze. L’annuncio Nietzschiano “Dio è morto” può considerarsi come l’avvio di questo processo? E lei come mai si professa “cristiano”?
Quando Nietzsche dice che Dio è morto, dice che è morto il Dio morale, il Dio come garanzia suprema di un ordine oggettivo per l’uomo. E poi, in un'altra parte, aggiunge che adesso che Dio è morto, è ora che arrivino molti dei e cioè nuove e più numerose prospettive di vita, criteri di esistenza. Come è noto, io continuo a professarmi cristiano. Come mai? Se qualcuno mi domanda perché sono cristiano, rispondo semplicemente: “perché non vedo nessuna ragione per non esserlo”. Le ragioni per non essere cristiano sarebbero l’autoritarismo papale, la pretesa di comandare sulle leggi, la pretesa di non pagar le tasse? Senza di questo mi è simpatico Gesù Cristo, sono cresciuto così. Se mi offrite delle buone ragioni per non esserlo, ditemelo, ma quelle ragioni qui non sono sufficienti. Anzi, posso essere antipapale ma col Vangelo in mano.

Una filosofia debole

Zabala Santiago
Una filosofia debole

Saggi in onore di Gianni Vattimo

Traduzione dall'inglese di Lucio Saviani

510 pagine

€ 45.00
ISBN 978881160054-1


Gianni Vattimo è uno dei filosofi più importanti sulla scena internazionale. Le sue opere sono tradotte in tutto il mondo. Per celebrare il suo percorso filosofico, pensatori come Umberto Eco, Richard Rorty, Charles Taylor e molti altri hanno voluto dibattere i temi da lui affrontati. Muovendo dal decostruzionismo di Derrida e dall'ermeneutica di Ricoeur e sulla base della sua esperienza di uomo politico, Vattimo si è interrogato sulla possibilità di parlare ancora di imperativi morali, di diritti individuali e di libertà politica, e ha proposto la filosofia di un pensiero debole che mostra come i valori morali possano esistere senza essere garantiti da un'autorità esterna. La sua interpretazione secolarizzante scandisce elementi anti-metafisici e pone la filosofia in relazione con la cultura postmoderna.

Nel volume i contributi di Rüdiger Bubner, Paolo Flores d'Arcais, Carmelo Dotolo, Umberto Eco, Manfred Frank, Nancy K. Frankenberry, Jean Grondin, Jeffrey Perl, Giacomo Marramao, Jack Miles, Jean-Luc Nancy, Teresa Oñate, Richard Rorty, Pier Aldo Rovatti, Fernando Savater, Reiner Schrümann, James Risser, Hugh J. Silverman, Charles Taylor, Gianni Vattimo, Wolfgang Welsch, Santiago Zabala.

lunedì 20 febbraio 2012

Sul libro di Massimo Recalcati, "Ritratti del desiderio"


L'Espresso, 10 febbraio 2012
 
Non sappiamo se la popolarità di Lacan si sia davvero attenuata negli anni recenti, come sembra da vari segni (o è la popolarità della stessa psicoanalisi che si ridimensiona?); ma è certo che il recente libro di Massimo Recalcati, psicoanalista lacaniano militante, "Ritratti del desiderio", Raffaello Cortina, pp. 190, € 14) può contribuire potentemente a rimettere tutta questa tematica al centro dell'attenzione. Lo diciamo dal punto di vista dei molti che hanno ammirato Lacan per quel poco che ne capivano - per esempio per la sua reinterpretazione paradossale e antisoggettivistica del motto freudiano "Dov'era l'Es, là deve avvenire l'io" - e che hanno sempre stentato a cogliere pienamente il significato del suo pensiero e della sua pratica analitica.

Recalcati sfata la leggenda della illeggibilità di Lacan ricostruendo la sua teoria intorno al concetto di desiderio, a cominciare dal senso fondamentale del "desiderio dell'Altro" fino alla sentenza conclusiva "non cedere mai sul tuo desiderio", spesso fraintesa come se fosse la negazione della necessità della Legge, del padre, appunto dell'Altro. Il discorso di Recalcati che pure lavora sulle implicazioni cliniche del lacanismo (esemplari le pagine sull'anoressia) è anche un bell'esempio di applicazione della psicoanalisi alla critica della cultura, del consumismo capitalistico, e in definitiva dell'etica dominante. Noi profani non-analizzati continuiamo a vedere poco il senso di una terapia come quella lacaniana centrata sul silenzio dell'analista. Ma sia come discorso critico sulla cultura attuale, sia come appello a un ripensamento della nostra etica personale, lo scritto, breve e chiaro, di Recalcati si segnala come un'opera memorabile. 
 
Gianni Vattimo

Della realtà. Fini della filosofia

Della realtà è un saggio filosofico che documenta un percorso di conoscenza e che alla riflessione sul pensiero di Heidegger unisce una costante attenzione alle trasformazioni della società contemporanea. È al tempo stesso il romanzo di un imprevedibile ribaltamento di prospettiva: un cambiamento che ci riguarda tutti, perché è profondamente radicato nella storia di questi ultimi decenni.Alla metà degli anni Ottanta, quando Gianni Vattimo diede spessore filosofico al postmoderno, fu accusato di essere il cantore del neocapitalismo trionfante e delle sue illusioni. La critica radicale alle ideologie e l'accento sull'interpretazione sembravano funzionali al nuovo orizzonte, sempre più dominato dal virtuale e dalla liquidità immateriale - a cominciare da quella del denaro e della finanza. In questi decenni, dopo che le ideologie sono state scardinate e abbandonate anche sull'onda del «pensiero debole», a dominarci sono stati il principio di realtà e la presunta oggettività delle leggi economiche. Oggi, mentre il capitalismo attraversa una delle crisi più gravi della sua storia, il richiamo alla realtà, in apparenza innocente e intriso di buon senso, diventa uno strumento per imporre il conformismo e accettazione dell'ordine vigente. Contro questa ideologia autoritaria, rivendica Vattimo, l'ermeneutica - ovvero la costante pratica dell'interpretazione - diventa uno straordinario strumento conoscitivo, proprio perché ci consente di superare la dittatura del presente. In questo senso, può diventare la base di un progetto di trasformazione e di liberazione che ha immediate ricadute politiche. 
  • Titolo: Della realtà. Fini della filosofia
  • Autore: Gianni Vattimo
  • Editore: Garzanti Libri
  • Collana: Saggi
  • Data di Pubblicazione: 23 Febbraio 2012
  • ISBN: 8811597013
  • ISBN-13: 9788811597018
  • Pagine: 231

Uccisioni sommarie di cani e gatti, lettera di Zanoni al Presidente e al Premier ucraini

UCRAINA: ZANONI (IDV) SCRIVE AD AUTORITA' KIEV PER MASSACRO CANI

(AGENPARL) - Roma, 20 feb - Andrea Zanoni, Eurodeputato IdV e vice presidente dell'Intergruppo Benessere degli Animali al parlamento europeo, scrive al Presidente Victor Yanokovych e al Premier Mykola Azarov ucraino per chiedere un intervento deciso e immediato atto a fermare le terribili uccisioni sommarie di cani e gatti nel Paese. La lettera è stata cofirmata in tutto da 22 Eurodeputati (tra cui i colleghi IDV Niccolo' Rinaldi, Sonia Alfano, Gianni Vattimo e Giommaria Uggias) appartenenti a tutti i gruppi politici del parlamento europeo e 11 stati membri. "In qualità di Eurodeputati, riteniamo la gestione di cani e gatti randagi in Ucraina inaccettabile e pertanto vi chiediamo di intervenire urgentemente e di mettere fine a questo massacro di migliaia di animali innocenti", si legge nella lettera. "Vi chiediamo, inoltre, di affrontare il fenomeno del randagismo in maniera completamente diversa e umana, ad esempio costruendo rifugi e tramite sterilizzazione". Zanoni ha già portato all'attenzione del Parlamento europeo la drammatica situazione ucraina e ha già presentato lo scorso 10 febbraio un'interrogazione parlamentare con la quale ha interessato della questione la Commissione europea. "Il massacro di cani e gatti randagi in Ucraina ha raggiunto dimensioni da Olocausto negli ultimi mesi - attacca Zanoni - Si tratta di una situazione inaccettabile e aggravata dal fatto che tutto questo potrebbe essere finalizzato a "ripulire" le strade in vista degli Europei di calcio 2012". "Le barbare uccisioni di questi poveri animali, fatte alla luce del sole, nelle strade e nelle piazze delle città ucraine, con metodi atroci come bastonate, fucilate, avvelenamenti e forni crematori, senza risparmiare madri allattanti e cuccioli, costituiscono un'offesa all'integrità e all'umanità propria dei cittadini europei - aggiunge l'Eurodeputato. Mi auguro che dopo aver ricevuto questa lettera le autorità ucraine facciano davvero tutto il possibile per fermare e ostacolare le uccisioni che purtroppo continuano nel Paese e non si limitino a dare sterili rassicurazioni". La lettera, cofirmata anche dai due vice presidenti italiani del Parlamento europeo, Gianni Pittella e Roberta Angelilli, si conclude con un laconico "confidiamo di ricevere al più presto la notizia che il barbaro massacro di cani e gatti in Ucraina sia finito per sempre". Lo si legge in una nota dell'eurodeputato.

La questione gay e il disciplinamento ai tempi dei governi tecnici


Ordine innaturale
L'Espresso, 17 febbraio 2012

La questione gay come l’articolo 18? Cioè, come una bomba tenuta in riserva dai politici che possono innescarla a piacere, anche in assenza di vere motivazioni economiche, sia per aumentare al bisogno la tensione sociale, sia per farne un concreto strumento di pressione per ridurre i diritti di ogni tipo, da quelli salariali a quelli civili in senso generale? Questa è l’impressione che si ricava dal libro di Paolo Rigliano e dei suoi colleghi: al momento, sembra che la questione sia di attualità solo negli Stati Uniti – una società la cui barbarie e arretratezza non cessano di stupirci, a cominciare dalla interpretazione letterale della Bibbia che ispira la legislazione di tanti Stati, giù giù fino al divieto di insegnare Darwin, alla fanatica difesa del “disegno intelligente”, ai monumenti pubblici in onore del Decalogo mosaico. Noi pensiamo, con qualche ragione, di essere immuni da simili ingenuità. Ma non possiamo mai dimenticare che la difesa dell’ordine “naturale” è sempre in agguato anche da noi: con le leggi contro la fecondazione assistita, contro l’interruzione di gravidanza e la pillola RU 486, con il silenzio imposto a ogni discussione sull’eutanasia e cioè sul diritto di disporre della propria vita. Volete che la normalizzazione messa in atto dal governo tecnico che ci terremo probabilmente per anni non arrivi prima o poi anche a disciplinare “secondo natura” la nostra vita privata? Possiamo fidarci che la “scienza”, quella che ispira le “terapie”popolari negli Usa, sia capace di riconoscere i propri errori? La storia del nucleare e i disastri ambientali legittimano molti dubbi anche a proposito di questo. Forse l’Europa dei banchieri non ci imporrà, per ora, di costituzionalizzare l’obbligo del matrimonio eterosessuale come ha fatto con il pareggio del bilancio, ma il fatto che si riparli di curare i gay esprime purtroppo assai bene la tendenza al disciplinamento che si sta diffondendo in tutti i campi della nostra esistenza al tempo dei governi tecnici.
Gianni Vattimo


RIGLIANO P. , CILIBERTO J. , FERRARI F.
Raffaello Cortina Editore, 2012
ISBN: 9788860304506
Pagine: 265

domenica 19 febbraio 2012

E Vattimo sbeffeggiò l'Essere: "è come un mobile con le tarme"

Edoardo Camurri recensisce «Della realtà. Fini della filosofia», edito da Garzanti (pp. 220, euro 18), in uscita il 23 febbraio 2012.

E Vattimo sbeffeggiò l'Essere: "è come un mobile con le tarme"
Il pensatore critica le posizioni del "nuovo realismo" 
Corriere della sera, 17 febbraio 2012. Di Edoardo Camurri 
 
«Non ci sono fatti, solo interpretazioni. Anche questa è un'interpretazione» tuonava più di un secolo fa quella bestia bionda di Friedrich Nietzsche, e oggi Vattimo continua a ripeterlo con una certa acribia anche se (a eccezione forse di qualche bramino) in molti si ostinano (loro malgrado) a sperimentare quanto la realtà sia dura a morire. Se si legge il suo ultimo libro, Della realtà. Fini della filosofia (Garzanti), la volontà di Vattimo di dissolvere la realtà è così radicale che finisce con il dissolvere perfino la realtà di un suo ex allievo, e ora durissimo rivale, come Maurizio Ferraris sostenitore del cosiddetto «nuovo realismo». Insomma, Vattimo non lo cita mai, per quanto sia evidente che uno dei principali obiettivi polemici del libro sia proprio l'esistenza di Maurizio Ferraris in quanto tale. Si potrebbe obiettare: ma questa forma di gossip teoretico cosa c'entra con un testo e con la sua analisi critica? In teoria nulla, se non fosse che è lo stesso Vattimo a giustificare una lettura sospettosa delle diatribe filosofiche: «Persino il richiamo all'oggettività delle cose come sono in sé stesse pesa solo in quanto è una tesi di qualcuno contro qualcun altro, e cioè in quanto è una interpretazione motivata da progetti, insofferenze, interessi anche nel senso migliore della parola» (p. 95).
Chi, come chi scrive, ha frequentato a lungo le lezioni di Vattimo, si divertiva molto a sentire il maestro riassumere la sua posizione con l'affermazione: «L'Essere è camolato», un modo piemontese per dire che l'Essere ha le tarme. Con Heidegger, Vattimo sostiene: la conoscenza non è adeguazione di un soggetto all'oggetto, l'Essere della filosofia non va pensato come un ente o come un dio presente che sta dinanzi a noi (o più spesso sopra di noi in posizione di dominio).
L'Essere è un progetto dentro il quale l'uomo è da sempre gettato. Esempio: se scrivessimo che esistono gli ippogrifi, ci prendereste per scemi non perché avete esplorato in lungo e in largo e nel tempo e nello spazio l'universo al punto da escludere radicalmente l'esistenza di questi animali metà cavalli e metà grifoni, ma perché viviamo in un mondo nel quale si sa già, in partenza, e sulla base di qualche confortevole pregiudizio, che gli ippogrifi non esistono. Quando si nasce si ereditano un linguaggio, delle credenze e dei significati che consentono all'uomo di articolare un discorso all'interno del quale (e questo è un interessante paradosso su cui Vattimo spesso si concentra nel suo libro) ci si può perfino illudere di essere realisti. Scrive Vattimo in Della realtà. Fini della filosofia (p. 46): «In quanto esistenti, dunque, noi siamo sempre bestimmt, intonati, orientati secondo preferenze e repulsioni, mai semplicemente-presenti ( vorhanden ) in mezzo agli oggetti (...). Questa è l'idea di esistenza come "progetto"».
Non stupirebbe, a questo punto del discorso, intravedere però qualche manina alzata pronta a obiettare: quello che sostiene Vattimo è un fatto, non un'interpretazione; si sta contraddicendo, anche lui finisce col descrivere obiettivamente la struttura dell'Essere. Ed è questa osservazione, una variante dell'obiezione antica contro lo scetticismo (affermare l'impossibilità della verità è una verità), a rendere conturbante Della realtà. Fini della filosofia. Perché Vattimo risponde innanzitutto rivendicando, con Nietzsche, il carattere interpretativo della sua posizione per poi chiedersi un po' stupito (p. 85): «L'argomento logico contro lo scetticismo ha mai convinto qualcuno ad abbandonare le sue "convinzioni" scettiche?». Non siamo all'anything goes, all'idea che tutto vada bene, ma all'insistenza che un «banale errore logico» non possa liquidare l'approdo nichilista a cui è giunta la storia della filosofia, il destino dentro il quale l'uomo è gettato e dove tenta di progettare la realtà che più desidera. Nulla di nuovo. Ma forse qualcosa di noioso e di inquietante. Noioso perché, come scriveva il grande poeta polacco Czeslaw Milosz, il nichilismo è ormai diventato una prerogativa della cultura di massa, nonché il segno di riconoscimento delle menti ordinarie; e inquietante perché grazie a idee come queste, e stranamente in nome di un'istanza di libertà comune alle avanguardie dei primi del Novecento, Heidegger divenne nazista e Vattimo, che lo difende dicendo che si autofraintese, oggi invita a boicottare Israele, abbraccia Fidel Castro («Gli ho preso il viso tra le mani - raccontò - con qualche lacrima agli occhi»), sostiene che con l'11 settembre: «Gli americani hanno fatto esperimenti sul proprio popolo»; eccetera.
Se si rigetta la possibilità di una teoria vera e propria, il rischio è concepire il pensiero come sostanzialmente asservito e dipendente dalla vita o dalla storia e, senza voler fare una reductio ad Hitlerum (una teoria non è confutata dal fatto che le è capitato di essere condivisa da Hitler), sembra che la posizione di Vattimo, ragionevole in teoria (l'Essere è camolato), in pratica corra il rischio di dimenticarsi dell'Essere per assolutizzare le camole e i rosicchiatori della realtà. Non è una situazione tanto allegra anche perché l'alternativa (classica e platonica) per sfuggire a questo pericolo non è più allettante: non divulghiamo nel dettaglio come stanno le cose, il nichilismo, eccetera, perché questa visione è incompatibile con la vita e al suo posto edifichiamo miti e nobili menzogne dentro i quali costruire un mondo decente ma falso. Entrambe le posizioni sono insieme conservatrici e rivoluzionarie. Scrive ancora Vattimo in Della realtà. Fini della filosofia (p. 109): «Proporre un diverso ordine storico-sociale, anche a partire dall'insoddisfazione per alcuni aspetti del paradigma vigente, è possibile non certo con argomenti "cogenti" di tipo ostensivo - "ti mostro che" - ma solo con discorsi edificanti - "non ti pare che sarebbe meglio se"».
Tutto finisce quindi col dipendere da una decisione. E la decisione può essere più o meno efficace a seconda di quanto siamo spregiudicati o di quanto siamo capaci di porci in ascolto dell'essere e dei progetti che l'essere ha in serbo per noi. Liberati dalla realtà, finiamo così con il diventare vittime della propaganda.

Su "Magnificat"

Una bella recensione di Magnificat, dal blog di Giorgio Carrozzini.

Facile accostare la filosofia, o la ricerca filosofica alla “montagna”, spesso chi va in montagna già di per se sta facendo una qualche ricerca di “senso” del proprio esistere.
Nel suo libro “Magnificat” Gianni Vattimo, il filosofo che ha saputo leggere nella nostra modernità, apparentemente forte, la fragile e la indeterminatezza del “pensiero debole”. Ma accidentalmente Vattimo non ha potuto fare a meno di intravedere nella montagna un “valore forte” di cui tuttavia non ha osato teorizzare il senso.
Questo piccolo libricino riporta la passione giovanile di Vattimo per la montagna, quando con Azione Cattolica andava a recitare il Magnificat sulle cime intorno a Torino. E' il racconto dei suoi incontri eccellenti con uomini quali Bonatti, Messner, gli uomini del “pensiero di montagna” ma anche con uomini come Umberto Eco, il suo amico e mentore Luigi Payerson.
Vattimo arriva a sfiorare le questioni si senso che vedono coinvolta la montagna quanto parla del “rischio” la dove il rischio diventa nientemeno che parte integrante delle possibilità dell'esistere. Non certo sta tragicamente accadendo nel nostro presente dove ogni pericolo, ogni rischio, ogni bruttura, ogni male deve essere eliminato o nascosto.
Andare in montagna ha in se una dose di rischio e nonostante le conseguenze di tale rischio siano fatali o quantomeno tragiche non possiamo fare a meno di considerare quel rischio almeno in parte accettabile.
Come nel libro di Enrique Vila Matas “Esploratori dell'Abisso”, dove il figlio chiede al padre... “perché mi hai generato sapendo che mi stavi donando la morte?”
Siamo portati da un istinto esplorativo, se sapessimo dove ci porta non intraprenderemmo il viaggio...
Un libro interessante, piccino pieno di domande più che di risposte... solletica l'appetito... non quello fisico ma del pensiero.

sabato 11 febbraio 2012

Eurodeputati No-Tav

Pressing degli eurodeputati No-Tav: "L'UE tolga i fondi dalla Torino-Lione"

I presidenti di Piemonte e Rhone Alpes: agiamo per ottenere il massimo dei contributi possili

La Stampa, 11 febbraio 2012. di MAURIZIO TROPEANO

«Il regolamento europeo che prevede la possibilità di stanziare fino al 40% di contributi per la Torino-Lione è ancora in discussione e per essere approvato deve completare tutto l’iter parlamentare: non è detto che passi». Eva Lichtenberger, austriaca, fa parte della commissione trasporti del parlamento europeo. È dei Verdi e insieme ad altri tre colleghi (gli italiani Sonia Alfano e Gianni Vattimo e la tedesca Sabine Wils) è venuta in Valsusa per incontrare il movimento No Tav e gli amministratori locali. I sindaci della Valle hanno risposto positivamente.

Cota, Saitta e Fassino hanno declinato l’invito ma si sono detti pronti ad incontrare una delegazione ufficiale di cui facciano parte tutti i gruppi del Parlamento europeo. I quattro, infatti, fanno parte di un gruppo di 24 europarlamentari che a più riprese hanno espresso perplessità sulla Torino-Lione. E che adesso, dopo aver visitato anche l’area dove si stanno ultimando i lavori per lo scavo del cunicolo esplorativo della Maddalena, prepareranno una relazione per informare gli altri parlamentari del loro punto di vista negativo: «Non ho visto un sito di costruzione ma una caserma, e non credo che sia giustificata», spiega ancora Lichtenberger. Vattimo e Alfano aggiungono: «La delegazione ha certificato l’inesistenza del cantiere di Chiomonte, condizione essenziale per la Commissione per la partecipazione con fondi comunitari all’opera. Fondi che a questo punto non possono e non devono essere erogati». Se salta il contributo Ue salta l’opera.

E a riprova di questa tesi i No Tav tirano fuori il primo articolo dell’accordo firmato a Roma lo scorso 29 gennaio che «non ha come oggetto di permettere l’avvio dei lavori definitivi della tratta italofrancese che richiederà l’approvazione di un protocollo addizionale separato» che dovrà tener conto dell’effettiva partecipazione Ue. Resta da capire se il lavoro di lobbing dei deputati europei No Tav troverà sponde nel Parlamento e nella Commissione che ha proposto di portare il contributo dal 30 al 40%. Se la proposta non dovesse essere accolta Francia e Italia dovrebbero tirar fuori più o meno 700 milioni in più. Mario Virano, presidente dell’Osservatorio, è ottimista: «C’è l’impegno ufficiale dei due governi di lavorare con la Commissione per confermare quella percentuale». E ieri da Lione i presidenti del Piemonte (Roberto Cota) e della Rhône-Alpes (Jean-Jack Queyranne) hanno diffuso una nota congiunta per ribadire il loro sostegno «senza riserve» al progetto e l’impegno «in stretto collegamento con gli operatori socioeconomici perché la Torino-Lione riceva i più elevati contributi possibili nel quadro della politica europea dei trasporti».