lunedì 28 febbraio 2011

Per la politica una iniezione di sentimento

La Stampa, TuttoLibri, 26 febbraio 2011.

Per la politica una iniezione di sentimento

Dalla Francia, «Indignatevi!» di Hessel (600 mila copie) e «La mia sinistra» di Morin: due «grandi vecchi» rilanciano passioni «semplici», non sufficienti ma necessarie per cambiare il presente


E' come se fossimo tornati a una condizione originaria, viene in mente l'aforisma con cui Nietzsche apre il primo volume di Umano troppo umano, evocando i primi passi della filosofia in Grecia, quando si trattava di capire il mondo riducendo la realtà ai suoi componenti elementari: terra, acqua, aria, fuoco. L'imprevisto successo di un libretto come Indignatevi! di Stéphane Hessel - che esce ora in Italia (add editore, pp. 61, euro 5, trad. di Maurizia Balmelli) dopo aver venduto oltre 600 mila copie in Francia - sembra da interpretare proprio nel senso dell'aforisma nietzschiano, anche se l'analogia è molto parziale. La situazione politica nella quale ci troviamo - noi paesi del mondo industrializzato europeo - appare proprio come una sorta di livello zero, dove si può solo cercare di ricominciare dal principio. Anzi, dai principi, e nel caso della politica, dalla capacità di indignarsi, di riconoscere l'insopportabilità della situazione ponendosi il problema, nudo e crudo, di come rovesciarla.

In Italia in questi tempi si parla sempre più spesso di Cln (Comitato di Liberazione Nazionale: purtroppo va spiegato ai più giovani), ma il libro di Hessel viene dalla Francia di Sarkozy, dove la situazione politica non è del tutto uguale a quella che viviamo noi. Anche lì, l'indignazione che siamo invitati e recuperare è quella da cui era nata la guerra antifascista a cui allude la sigla del Cln. Hessel (oggi novantatreenne) è stato infatti uno degli esponenti del movimento che prese le armi sotto il comando di De Gaulle per liberare la Francia dall'occupazione nazista. Negli anni successivi alla sconfitta di Hitler partecipò al lavoro per la redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, che è come l'atto fondativo delle Nazioni Unite (1948). Già nel 2004 Hessel era stato uno degli autori dell'«Appello dei Resistenti alle Nuove Generazioni», presentato solennemente a Parigi l'8 marzo, non a caso, crediamo, alla Maison de l'Amérique Latine. Molti dei temi di quell'appello si leggono ora nel libretto che ha suscitato tanta attenzione, un successo per molti aspetti sorprendente.

Un po' come se in Italia balzasse in testa a tutte le classifiche un pamphlet di Tina Anselmi edito dall'Anpi. Non immaginate già il coro di cachinni da cui sarebbe accolto nei giornali e nelle televisioni (solo?) della destra? Ci si ripeterebbe che bisogna guardare avanti, la modernizzazione esige ben altro che queste prediche sui valori della Resistenza, con le ricette semplicistiche che le accompagnano. Sono effettivamente ricette semplici, quelle che avevano elaborato i resistenti negli anni della guerra, e che ora leggiamo nelle prime pagine del libretto di Hessel: «Un progetto completo di Sécurité sociale, volto ad assicurare mezzi di sostentamento a tutti i cittadini, qualora fossero inabili a procurarseli con il lavoro; una pensione che consenta ai lavoratori anziani di avere una vecchiaia dignitosa... Le fonti di energia, l'elettricità, il gas, le miniere di carbone, le grandi banche vengono statalizzate... (Si vuole) il ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione... l'insediamento di una vera e propria democrazia economica e sociale... L'interesse generale deve prevalere sull'interesse particolare, l'equa distribuzione delle ricchezze prodotte dal mondo del lavoro deve prevalere sul potere del denaro...».

Sappiamo tutti, o crediamo di sapere, che molti di questi punti programmatici hanno dato pessima prova di sé; non solo è caduto il comunismo reale sovietico, anche il socialismo se la passa piuttosto male. Altro che indignarci, noi ci entusiasmiamo per ogni nuova privatizzazione e ne chiediamo sempre di nuove. Il ritorno ai principi potrebbe risuscitare qualche dubbio sulla indiscutibilità della tesi thatcheriana secondo cui il capitalismo, con tutti i suoi mali, è - come la democrazia nella famosa frase di Churchill - il meno peggio possibile?

Ecco, ritrovare l'indignazione dei Resistenti di settant'anni fa potrebbe essere il primo passo verso il superamento della pigrizia che ci chiude dentro il cerchio dell'ovvio, impedendoci anche di vedere che la recente crisi da cui stiamo cercando di uscire non è stata propriamente una conseguenza dell'applicazione del programma della Resistenza... Sono anzitutto la pigrizia e l'indifferenza gli stati d'animo a cui l'indignazione di Hessel dovrebbe sottrarci. Dunque, contro le serie considerazioni di tanti esperti economisti, solo un appello ai sentimenti? Sembra davvero poco.

Eppure anche un altro «grande vecchio» resistente, Edgar Morin - ben più noto di Hessel e ben presente nel dibattito intellettuale e filosofico dei nostri anni - sembra arrivare a conclusioni molto simili. Nel libro La mia sinistra (Erickson, pp. 252, euro 18,50, a cura di Riccardo Mazzeo) che raccoglie i suoi interventi politici (con molti inediti) degli ultimi due decenni, il filosofo della complessità fa una specie di bilancio degli insuccessi della sinistra; che secondo lui, ha contato troppo sulla realizzazione di meccanismi economici e statali concepiti come più giusti (più conformi agli ideali del 1789), ma ha lasciato molto spesso da parte il sentimento vissuto della solidarietà, che ancora oggi, calcola Morin, coinvolge al di là di ogni considerazione di interessi parziali, almeno un dieci-quindici per cento dei cittadini del nostro mondo.

Sia pure con molti più dettagli e suggerimenti specifici (molti legati alla nuova attualità del problema ecologico, a cui Morin è giustamente attento) la «sua» sinistra, come quella di Hessel, mostra di aver bisogno non tanto di calcoli su maggioranze elettorali, ma anzitutto di una iniezione di «sentimento»: lo spirito di solidarietà non è poi molto diverso dalla capacità di indignarsi. Anche per Walter Benjamin, del resto, i rivoluzionari, quella minoranza attiva ancora capace di indignarsi, passano all'azione pensando «agli avi asserviti» molto più che «all'ideale dei liberi nipoti». E infine: se non ora, quando?

Gianni Vattimo

Proposta di risoluzione comune sulla libertà di espressione e sulle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale in Lituania


Proposta di risoluzione comune


presentata a seguito delle interrogazioni con richiesta di risposta orale B7‑0669/2010, B7‑0803/2010, B7-0804/2010 e O-0216/2010

a norma dell'articolo 115, paragrafo 5, del regolamento


sulla violazione della libertà di espressione e sulle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale in Lituania


Renate Weber, Sophia in 't Veld, Leonidas Donskis, Cecilia Wikström, Alexander Alvaro, Sonia Alfano, Gianni Vattimo, Sarah Ludford, Ramon Tremosa i Balcells, Elizabeth Lynne

a nome del gruppo ALDE

Raül Romeva i Rueda, Ulrike Lunacek, Marije Cornelissen, Emilie Turunen, Franziska Keller, Isabella Lövin, Nicole Kiil-Nielsen, Jan Philipp Albrecht

a nome del gruppo Verts/ALE

Claude Moraes, Monika Flašíková Beňová, Michael Cashman, Vilija Blinkevičiūtė, Catherine Trautmann

a nome del gruppo S&D

Cornelis de Jong, Nikolaos Chountis, Eva-Britt Svensson, Cornelia Ernst, Rui Tavares

a nome del gruppo GUE/NGL


12 febbraio 2011


Il Parlamento europeo,

– visti gli strumenti internazionali che garantiscono i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali e vietano la discriminazione, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU),

– visti gli articoli 6 e 7 del trattato sull'Unione europea (TUE) e l'articolo 19 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) che, oltre a sancire l'impegno dell'Unione e degli Stati membri a favore dei diritti umani e delle libertà fondamentali, prevedono strumenti di lotta contro le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani,

– vista la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in particolare l'articolo 11, che garantisce il diritto alla libertà di espressione, e l'articolo 21, che vieta le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale,

– visti i progetti di emendamento al codice dei reati amministrativi della Repubblica di Lituania (n. XIP-2595),

– visto il progetto di parere del ministro della Giustizia della Repubblica di Lituania (n. 11-30-01)

– viste le attività dell'Unione europea per combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'omofobia,

– vista la relazione del novembre 2010 dell'Agenzia dei diritti fondamentali dal titolo "Omofobia, transfobia e discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere",

– vista la sua risoluzione del 17 settembre 2009 sulla legge lituana sulla tutela dei minori contro gli effetti dannosi della pubblica informazione(1),

– viste le sue precedenti risoluzioni sull'omofobia, la tutela delle minoranze e le politiche antidiscriminatorie e in particolare quelle relative all'omofobia in Europa(2),

– visti l'articolo 115, paragrafo 5, l'articolo 110, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che il 16 dicembre 2010 il Seimas ha rinviato una votazione su un progetto di legge che modificherebbe il codice dei reati amministrativi al fine di punire la "pubblica promozione delle relazioni omosessuali" con una multa compresa tra i 2 000 e i 10 000 LTL (580 - 2 900 euro),

B. considerando che l'8 dicembre 2010 la commissione per l'istruzione, la scienza e la cultura della Seimas ha inoltre eliminato l'orientamento sessuale dall'elenco dei motivi che giustificano una tutela nelle disposizioni in materia di pari opportunità contenute nella legge sull'istruzione (articolo 5, paragrafo 1),

C. considerando che i progetti di emendamento al codice dei reati amministrativi sono contrari all'articolo 25 della Costituzione della Repubblica di Lituania che stipula che "non si può impedire alla persona di cercare, ricevere e divulgare informazioni e idee" e all'articolo 29 il quale afferma che "tutti sono uguali dinanzi alla legge, ai tribunali e alle altre istituzioni e ai funzionari dello Stato. I diritti della persona non possono essere limitati, né possono essere concessi privilegi sulla base del genere, razza, cittadinanza, lingua, origine, posizione sociale, credo, convinzioni o opinioni",

D. considerando che il ministro della Giustizia della Repubblica di Lituania ha dichiarato che i progetti di emendamento al codice dei reati amministrativi contravvengono agli obblighi della Lituania emananti dalla sua Costituzione, dalla Carte europea dei diritti umani, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dal patto internazionale relativo ai diritti civili e politici,

E. considerando che l'ultima relazione dell'Agenzia dei diritti fondamentali su "Omofobia, transfobia e discriminazioni sulla base dell'orientamento sessuale e l'identità sessuale" del novembre 2010 conclude che gli emendamenti potrebbero potenzialmente criminalizzare qualsiasi espressione pubblica, rappresentazione o informazione sull'omosessualità,

F. considerando che nel giugno 2009 la Seimas ha votato a maggioranza schiacciante a favore di un emendamento alla legge lituana sulla tutela dei minori contro gli effetti dannosi della pubblica informazione che vieta ai minori l'accesso alle informazioni relative all'omosessualità,

G. considerando che il significato dell'espressione "manifestazione o promozione dell'orientamento sessuale" contenuta nella legge sulla pubblicità è tuttora oscuro,

H. considerando che la presente risoluzione risponde a una serie di avvenimenti preoccupanti quali l'adozione della legge sulla tutela dei minori contro gli effetti dannosi della pubblica informazione, il tentativo da parte di autorità locali di proibire lo svolgimento di manifestazioni per la parità e l'orgoglio omosessuale nonché le dichiarazioni dai toni aggressivi e i discorsi improntanti all'odio pronunciati da politici e parlamentari di primo piano,

I. considerando che il 17 maggio 2010, giornata internazionale contro l'omofobia, il vicepresidente della Commissione Viviane Reding, l'Alto rappresentante dell'Unione europea Catherine Ashton, il Presidente del Consiglio europeo Herman van Rompuy e il Presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek hanno unanimemente condannato qualsiasi tipo di omofobia e discriminazione in base all'orientamento sessuale,

J. considerando che nel 1990 l'Organizzazione mondiale della sanità ha eliminato la classificazione dell'omosessualità come malattia mentale, che nessuna ricerca affidabile indica che l'educazione dei bambini e dei giovani alla sessualità possa incidere sul loro orientamento sessuale e che l'educazione sulla diversità sessuale incoraggia la tolleranza e l'accettazione delle differenze,

1. riafferma che le istituzioni e gli Stati membri dell'UE hanno il dovere di garantire che i diritti umani siano rispettati, tutelati e promossi nell'Unione europea, come sancito dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, la Carta europea dei diritti fondamentali e l'articolo 6 del trattato sull'Unione europea, senza distinzioni sulla base dell'orientamento sessuale;

2. chiede al Seimas di bocciare i progetti di emendamento al codice dei reati amministrativi, inserire l'orientamento sessuale nell'elenco dei motivi che giustificano una tutela nella legge sull'istruzione, consentire ai minori di avere libero accesso alle informazioni sull'orientamento sessuale e chiarire il significato del divieto previsto dalla legge sulla pubblicità;

3. prende atto della ferma posizione assunta in più occasioni dalla Presidente della Repubblica di Lituania Dalia Grybauskaitė, la quale ha denunciato i progetti di legge di stampo omofobo come dannosi per i cittadini lituani e l'immagine della Lituania e chiede al Presidente di porre il veto sugli emendamenti al codice dei reati amministrativi qualora vengano approvati;

4. si compiace della recente designazione dell'omofobia come aggravante per i reati;

5. loda l'azione bilaterale svolta finora dalla Commissione; chiede alla Commissione di intraprendere una valutazione giuridica dei proposti emendamenti al codice di reati amministrativi, di avviare immediatamente una procedura d'infrazione qualora l'esito della votazione fosse incompatibile con la normativa e i trattati dell'UE e pubblicare una tabella di marcia dell'UE contenente misure concrete contro l'omofobia e le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale;

6. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri e dei paesi candidati, al Presidente e al Parlamento della Repubblica di Lituania, all'Agenzia dei diritti fondamentali dell'UE e al Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa.

(1)

P7_TA(2009)0019.

(2)

P6_TA(2006)0018, P6_TA(2006)0273, P6_TA(2007)0167.

Proposta di risoluzione comune sulla legge ungherese sui media


Proposta di risoluzione comune


presentata a norma dell'articolo 110, paragrafo 4, del regolamento

in sostituzione delle proposte di risoluzione presentate dai gruppi:

Verts/ALE (B7‑0103/2011)

ALDE (B7‑0104/2011)

GUE/NGL (B7‑0107/2011)

S&D (B7‑0112/2011)


sulla legge ungherese sui media


Martin Schulz, Hannes Swoboda, Maria Badia i Cutchet, Claude Moraes, Juan Fernando López Aguilar, Csaba Sándor Tabajdi a nome del gruppo S&D
Renate Weber, Sophia in 't Veld, Sonia Alfano, Alexander Alvaro, Louis Michel, Cecilia Wikström, Jens Rohde, Norica Nicolai, Marielle De Sarnez, Alexander Graf Lambsdorff, Ramon Tremosa i Balcells, Charles Goerens, Marietje Schaake, Frédérique Ries, Gianni Vattimo, Nathalie Griesbeck, Luigi de Magistris a nome del gruppo ALDE
Daniel Cohn-Bendit, Rebecca Harms, Judith Sargentini, Helga Trüpel, Christian Engström, Hélène Flautre, Raül Romeva i Rueda, Eva Lichtenberger a nome del gruppo Verts/ALE
Lothar Bisky, Rui Tavares, Eva-Britt Svensson, Patrick Le Hyaric, Willy Meyer, Jean-Luc Mélenchon, Jürgen Klute, Marie-Christine Vergiat a nome del gruppo GUE/NGL

14 febbraio 2011

Risoluzione del Parlamento europeo sulla legge ungherese sui media

Il Parlamento europeo,

– visti gli articoli 2, 3, 6 e 7 del trattato sull'Unione europea (TUE), gli articoli 49, 56, 114, 167 e 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), l'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e l'articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) relativi al rispetto, la promozione e la tutela dei diritti fondamentali, in particolare alla libertà di espressione e di informazione nonché al diritto al pluralismo, nell'ambito dei media,

– vista la direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi - DSMAV) (1),

– visti la Carta europea per la libertà di stampa, del 25 maggio 2009, il documento di lavoro della Commissione sul pluralismo dei media negli Stati membri dell'Unione europea (SEC(2007)0032), "l'approccio in tre tappe in tema di pluralismo dei media", definito dalla Commissione, e lo studio indipendente realizzato per conto della stessa istituzione e ultimato nel 2009,

– viste le sue risoluzioni del 22 aprile 2004 sui rischi di violazione, nell'UE e particolarmente in Italia, della libertà di espressione e di informazione (articolo 11, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali) (2), del 25 settembre 2008 sulla concentrazione e il pluralismo dei mezzi di informazione nell'Unione europea(3) e del 7 settembre 2010 sul giornalismo e i nuovi media – creare una sfera pubblica in Europa(4),

– viste le dichiarazioni della Commissione, le interrogazioni parlamentari presentate nonché le discussioni sulla libertà d'informazione in Italia, tenutesi al Parlamento europeo nell'ottobre 2009 e nel settembre 2010, e sulla legge ungherese sui media tenutesi in seno alla commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni il 17 gennaio 2011,

vista la decisione della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni di chiedere all'Agenzia per i diritti fondamentali di elaborare una relazione comparativa annuale, che comprenda appositi indicatori, sulla situazione della libertà, del pluralismo e dell'indipendenza della governance dei media negli Stati membri dell'UE,

– vista la Convenzione dell'UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, in particolare gli articoli 5, paragrafo 2, 7 e 11 della stessa,

– visto l'articolo 110, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che l'Unione europea è fondata sui valori della democrazia e dello Stato di diritto, quali definiti all'articolo 2 del TUE, e pertanto garantisce e promuove la libertà di espressione e d'informazione, sancita dall'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'articolo 10 della CEDU, e riconosce il valore giuridico dei diritti, delle libertà e dei principi stabiliti nella Carta dei diritti fondamentali, fatti dimostrati anche dall'adesione alla CEDU, ai sensi della quale la libertà e il pluralismo dei media sono requisiti preliminari essenziali; considerando altresì che i citati diritti comprendono la libertà di opinione e la libertà di ricevere e di comunicare informazioni senza controlli, interferenze né pressioni da parte delle autorità pubbliche,

B. considerando che il pluralismo e la libertà dei media continuano a destare grande preoccupazione nell'UE e nei suoi Stati membri, in particolare in Italia, Bulgaria, Romania, Repubblica ceca ed Estonia, come dimostrano le recenti critiche nei confronti della legge sui media e le modifiche costituzionali introdotte in Ungheria fra giugno e dicembre 2010, formulate da organizzazioni internazionali come l’OSCE e dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, da numerose organizzazioni internazionali e nazionali di giornalisti, da redattori ed editori, da ONG per la difesa dei diritti umani e delle libertà civili, nonché dagli Stati membri e dalla Commissione europea,

C. considerando che la Commissione ha espresso preoccupazioni e chiesto informazioni al governo ungherese quanto alla conformità della legge sui media con la DSMAV e con l'acquis in generale, segnatamente in relazione all’obbligo di offrire una copertura equilibrata applicabile a tutti i fornitori di servizi di media audiovisivi, sollevando anche dubbi sulla conformità della legge con il principio di proporzionalità e il rispetto del diritto fondamentale alla libertà di espressione e di informazione, quale sancito dall'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, con il principio del paese d’origine e i requisiti di registrazione; considerando che il governo ungherese ha risposto fornendo ulteriori informazioni e dichiarando la propria disponibilità a rivedere e a modificare la legge,

D. considerando che l'OSCE ha espresso notevoli perplessità circa la portata (materiale e territoriale) delle disposizioni legislative ungheresi, la libertà di espressione e la disciplina dei contenuti, la nomina di un unico responsabile sia per i media che per le telecomunicazioni nazionali e la conformità ai principi che disciplinano l'emittenza pubblica(5), indicando che la nuova legge nuoce al pluralismo dei media, sopprime l'indipendenza politica e finanziaria dei media di servizio pubblico e consolida gli elementi negativi per la libertà dei media nel lungo periodo, e che l'Autorità e il Consiglio responsabili dei media sono politicamente omogenei(6) ed esercitano un controllo politico e governativo pervasivo e centralizzato su tutti i media; considerando che tra gli ulteriori motivi di preoccupazione figurano il carattere sproporzionato delle sanzioni, estremamente severe per ragioni discutibili e non definite, la mancanza di una sospensione automatica delle sanzioni in caso di ricorso contro una sanzione dell'autorità responsabile dei media, la violazione del principio della riservatezza delle fonti giornalistiche, la tutela dei valori della famiglia, ecc.;

E. condividendo le gravi riserve formulate dall’OSCE e concernenti l’Autorità e il Consiglio responsabili dei media e considerando il fatto che le caratteristiche più problematiche della legge sono contrarie alle norme OSCE e a quelle internazionali sulla libertà di espressione, come, ad esempio, la soppressione dell'indipendenza politica e finanziaria dei media di servizio pubblico, l'ambito di applicazione (materiale e territoriale) della legge e la decisione di non definire i termini chiave, mettendo i giornalisti nell’impossibilità di sapere quando potrebbero infrangere la legge,

F. considerando che il Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa ha invitato le autorità ungheresi a tener conto, in sede di revisione della legge sui media, delle norme del Consiglio d’Europa sulla libertà di espressione e il pluralismo dei media, nonché delle pertinenti raccomandazioni del comitato dei ministri e dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e, in particolare, delle norme vincolanti della CEDU e della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo; considerando che il Commissario ha fatto riferimento all’uso di definizioni poco chiare che possono essere interpretate erroneamente, alla creazione di un meccanismo di regolamentazione politicamente non equilibrato con poteri sproporzionati e non subordinato a un controllo giudiziario completo, a rischi per l’indipendenza dei media audiovisivi di servizio pubblico e all’indebolimento della tutela delle fonti giornalistiche; considerando che lo stesso commissario ha sottolineato la necessità di consentire una reale partecipazione di tutte le parti interessate, compresi i partiti all'opposizione e la società civile, alla revisione della citata normativa che regola un aspetto fondamentale del funzionamento di una società democratica come quello in questione(7),

G. considerando che, di conseguenza, la legge ungherese sui media dovrebbe essere urgentemente sospesa e sottoposta a revisione sulla base delle osservazioni e delle proposte della Commissione, dell'OSCE e del Consiglio d'Europa, in modo da garantire la sua piena conformità al diritto dell'UE e alle norme e ai valori europei in materia di libertà, pluralismo e indipendenza della governance dei media,

H. considerando che, nonostante i ripetuti inviti del Parlamento a proporre una direttiva sulla libertà, il pluralismo e l'indipendenza della governance dei media, la Commissione ha finora posticipato tale proposta, divenuta sempre più necessaria e urgente,

I. considerando che, in materia di libertà di stampa e di espressione, tutti gli Stati membri dell'Unione europea sono tenuti a rispettare i criteri di Copenaghen per l'adesione all'UE, definiti nel giugno del 1993 in occasione del Consiglio europeo di Copenaghen, e che tali criteri devono essere attuati attraverso la legislazione pertinente dell'Unione europea,

J. considerando che la Corte di giustizia, nelle cause riunite C-39/05 P e C-52/05 P, ha stabilito ai paragrafi 45 e 46 che l'accesso all'informazione migliora la partecipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza e responsabilità dell'amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico, e che tale accesso costituisce una "condizione per l'esercizio effettivo, da parte di questi ultimi, dei loro diritti democratici",

1. invita le autorità ungheresi a ripristinare l’indipendenza della governance dei media e a porre fine alle interferenze dello Stato che recano pregiudizio alla libertà di espressione e a una copertura equilibrata dei media; reputa che la regolamentazione eccessiva dei media sia controproducente e metta a repentaglio il pluralismo effettivo nella sfera pubblica;

2. accoglie con favore l’iniziativa della Commissione di chiedere chiarimenti sulla legge ungherese sui media e la sua conformità con i trattati e il diritto dell’UE, nonché l’annuncio delle autorità magiare che si dichiarano disposte a modificare la legge;

3. si rammarica per il fatto che, per quanto concerne l'adesione all'acquis da parte dell'Ungheria, la Commissione abbia deciso di concentrarsi solo su tre aspetti e abbia omesso qualsiasi riferimento all'articolo 30 della DSMAV, limitando così le proprie prerogative al semplice controllo sul rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea in sede di attuazione del diritto dell'Unione, da parte dell'Ungheria; esorta la Commissione a verificare che l'Ungheria rispetti il regime di responsabilità di cui alla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico nonché a esaminare il recepimento in Ungheria delle decisioni quadro dell'Unione europea sulla lotta contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale (2008/913/GAI) e sulla lotta al terrorismo (2008/919/GAI), che contengono riferimenti alla libertà di espressione e alle elusioni delle norme sulla libertà dei media;

4. invita la Commissione a procedere in modo rapido e tempestivo nell’esame approfondito della questione di adeguare la legge ungherese sui media alla legislazione europea, in particolare alla Carta dei diritti fondamentali, a fissare un termine ravvicinato entro il quale le autorità ungheresi devono modificare la legge e, in caso di mancato rispetto del termine, ad avviare una procedura di infrazione;

5. invita le autorità ungheresi a coinvolgere tutte le parti interessate nel processo di revisione della legge e della Costituzione, che rappresenta la base di una società democratica fondata sullo Stato di diritto, per mezzo di un equilibrio dei poteri, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della minoranza contro il rischio di una tirannia della maggioranza;

6. chiede alla Commissione di agire in base dell'articolo 265 del TFUE presentando, entro la fine dell'anno, una proposta legislativa a norma dell'articolo 225 del TFUE, in materia di libertà, pluralismo e indipendenza della governance dei media, al fine di colmare le lacune del quadro normativo dell'UE sui media, utilizzando le sue competenze nei settori del mercato interno, della politica audiovisiva, della concorrenza, delle telecomunicazioni, degli aiuti di Stato, dell'obbligo di servizio pubblico e dei diritti fondamentali di tutti i cittadini residenti nel territorio dell'UE, nella prospettiva di definire almeno i requisiti minimi essenziali che tutti gli Stati membri sono tenuti a soddisfare e a rispettare, anche nell'ambito della legislazione nazionale, per assicurare, garantire e promuovere la libertà di informazione, un adeguato livello di pluralismo e l'indipendenza della governance dei media;

7. invita le autorità ungheresi, nel caso in cui la legge sui media sia ritenuta incompatibile con la lettera e lo spirito dei trattati e con il diritto dell’UE, in particolare con la Carta dei diritti fondamentali, ad abrogare e a non applicare tale legge o quegli elementi della stessa che sono ritenuti incompatibili, conformemente alle osservazioni e alle proposte formulate dal Parlamento europeo, dalla Commissione, dall’OSCE e dal Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d'Europa, alle raccomandazioni del comitato dei ministri e dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo;

8. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al Consiglio d'Europa nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, all'Agenzia per i diritti fondamentali e all'OSCE.

(1)

GU L 95 del 15.4.2010, pag. 1.

(2)

GU C 104 E del 30.4.2004, pag. 1026.

(3)

Testi approvati, P6_TA(2008)0459.

(4)

Testi adottati, P7_TA-PROV(2010)0307.

(5)

Analisi e valutazione di un pacchetto di atti e progetti legislativi ungheresi sui media e le telecomunicazioni, a cura del dott. Karol Jakubowicz per l’OSCE.

(6)

Lettera del 14 gennaio 2010 del rappresentante per la libertà dei media dell'OSCE al presidente della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

(7)

http://www.coe.int/t/commissioner/News/2011/110201Hungary_en.asp

Proposta di risoluzione comune sull'uccisione di David Kato (Uganda)


Proposta di risoluzione comune


presentata a norma dell'articolo 122, paragrafo 5, del regolamento

in sostituzione delle proposte di risoluzione presentate dai gruppi

Verts/ALE (B7‑0133/2011)

ALDE (B7‑0143/2011)

ECR (B7‑0145/2011)

GUE/NGL (B7‑0146/2011)

PPE (B7‑0149/2011)

S&D (B7‑0150/2011)


16 febbraio 2011


sull'Uganda: l'uccisione di David Kato


Michèle Striffler, Cristian Dan Preda, Alain Cadec, Tunne Kelam, Elena Băsescu, Monica Luisa Macovei, Eija-Riitta Korhola, Filip Kaczmarek, Bogusław Sonik a nome del gruppo PPE
Michael Cashman, Corina Creţu, Ana Gomes a nome del gruppo S&D
Kristiina Ojuland, Marietje Schaake, Sophia in 't Veld, Sonia Alfano, Ramon Tremosa i Balcells, Renate Weber, Leonidas Donskis, Jens Rohde, Louis Michel, Frédérique Ries, Gianni Vattimo, Sarah Ludford, Marielle De Sarnez, Alexandra Thein a nome del gruppo ALDE
Raül Romeva i Rueda, Ulrike Lunacek, Judith Sargentini, Nicole Kiil-Nielsen, Bart Staes, Keith Taylor, Jean Lambert a nome del gruppo Verts/ALE
Charles Tannock a nome del gruppo ECR
Rui Tavares, Marie-Christine Vergiat, Eva-Britt Svensson, Cornelia Ernst a nome del gruppo GUE/NGL

Il Parlamento europeo,

– visti gli obblighi e gli strumenti internazionali in materia di diritti umani, compresi quelli che figurano nelle convenzioni dell'ONU sui diritti umani e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, le quali garantiscono i diritti umani e le libertà fondamentali e vietano la discriminazione,

– visto l'accordo di partenariato firmato il 23 giugno 2000 a Cotonou tra i membri del gruppo di Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, da un lato, e la Comunità europea e i suoi Stati membri, dall'altro (accordo di Cotonou), riesaminato a Ouagadougou il 23 giugno 2010, nonché la clausola sui diritti umani in esso contenuta, segnatamente all'articolo 8,

– visti gli articoli 6, 7 e 21 del trattato sull'Unione europea (TUE) che impegnano l'Unione e i suoi Stati membri a sostenere i diritti umani e la libertà fondamentali e a predisporre strumenti per lottare contro la discriminazione e le violazioni dei diritti umani a livello dell'UE,

– vista la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, in particolare l'articolo 21, il quale vieta la discriminazione basata sulle tendenze sessuali,

– viste tutte le attività dell'UE collegate alla lotta contro l'omofobia e la discriminazione basata sulle tendenze sessuali,

– viste le sue precedenti risoluzioni sull'omofobia, la protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione,

– viste le sue risoluzioni del 17 dicembre 2009 sulla proposta di legge contro l'omosessualità in Uganda e del 16 dicembre 2010 sulla cosiddetta «legge Bahati» e la discriminazione nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT) in Uganda,

– vista la dichiarazione resa il 17 maggio 2010 dal vicepresidente/alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Catherine Ashton e dal Presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek alla Giornata internazionale contro l'omofobia,

– vista la dichiarazione del 28 settembre 2010 dell'Assemblea parlamentare ACP sulla coesistenza pacifica delle religioni e l'importanza attribuita al fenomeno dell'omosessualità nel partenariato ACP-UE,

– vista la dichiarazione resa il 6 dicembre 2010 in risposta della dichiarazione ACP da membri dell'UE all'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE su iniziativa dei gruppi PPE, S&D, ALDE, Verde/ALE e GUE/NGL nel Parlamento europeo,

– vista la risoluzione dell'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE del 3 dicembre 2009 sull'integrazione culturale e la partecipazione dei giovani,

– visto l'articolo 122, paragrafo 5, del suo regolamento,

A. considerando che il 26 gennaio 2011 David Kato Kisule, difensore dei diritti umani e personalità rilevante del gruppo Sexual Minorities Uganda per i diritti di gay e lesbiche e della comunità LGBT in generale, è stato brutalmente ucciso in Uganda,

B. considerando che David Kato era stato in precedenza citato in giudizio e aveva vinto il processo contro il giornale locale Rolling Stone, che il 9 ottobre e il 15 novembre 2010 aveva pubblicato un elenco di nominativi, con dati personali e fotografie, di oltre cento presunti omosessuali, tra cui David Kato, con l'incitazione ad aggredirli e impiccarli,

C. considerando che il 3 gennaio 2011 la corte suprema dell'Uganda ha sentenziato che il giornale Rolling Stone aveva violato il diritto costituzionale di tutti i cittadini alla dignità e alla riservatezza privata, specificando che neppure la legislazione vigente in Uganda contro l'omosessualità poteva essere intesa come circostanza attenuante per aggressioni o uccisioni di omosessuali, considerando che dopo la sentenza della corte suprema David Kato Kisule ha denunciato un'intensificazione delle minacce e delle intimidazioni,

D. considerando che il copresidente dell'Assemblea paritetica UE-ACP, il presidente della sottocommissione per i diritti dell'uomo, il Presidente del Parlamento europeo, i responsabili della missione UE a Kampala, il Presidente e il Segretario di Stato degli Stati Uniti, l'Alto commissario per i diritti dell'uomo delle Nazioni Unite e altre personalità della comunità internazionale hanno reso omaggio a David Kato in quanto difensore dei diritti umani e sollecitato le autorità dell'Uganda a portare dinanzi alla giustizia i responsabili,

E. considerando che il Parlamento europeo, organizzazioni non governative internazionali e rappresentanti di governo dell'UE e degli USA hanno ripetutamente espresso preoccupazione per la situazione delle persone LGBT in Uganda, esposte a discriminazioni e persecuzioni, nonché per l'incitamento all'odio contro persone LGBT da parte di esponenti e organizzazioni della sfera pubblica e privata in Uganda,

F. considerando che il gruppo di cui faceva parte David Kato si è pubblicamente opposto al disegno di legge contro l'omosessualità (Anti Homosexuality Bill), presentato al parlamento ugandese dal deputato David Bahati il 25 settembre 2009, il quale prevede la reclusione da sette anni all'ergastolo nonché la pena di morte per gli atti omosessuali; considerando altresì che, a norma del citato disegno di legge, chi omette di dichiarare l'omosessualità di un figlio o di un paziente è punito con la reclusione fino a tre anni; considerando che la proposta è tuttora all'esame,

G. considerando che le persone LGBT in Uganda, nonché le persone di cui il Rolling Stone ha pubblicato fotografia e dati personali, che successivamente sono stati diffusi alla radio e alla televisione, si trovano ora in pericolo effettivo di essere perseguitati e in gran parte sono ora senzatetto, disoccupati, costretti a evitare luoghi pubblici e a nascondersi,

H. considerando che in Africa l'omosessualità è legale soltanto in 13 paesi ed è reato in 38 paesi; considerando che in Mauritania, Somalia, Sudan e Nigeria del nord l'omosessualità è punita con la pena di morte; considerando che dirigenti politici e religiosi estremisti, tra gli altri, incitano alla violenza contro le persone LGBT, mentre le autorità tollerano e lasciano impuniti i crimini commessi sulla base delle tendenze sessuali, considerando altresì l'aumento costante delle discriminazioni, degli arresti arbitrari o dei maltrattamenti basati sulle tendenze sessuali,

1. condanna fermamente la brutale uccisione di David Kato Kisule, difensore dei diritti umani in Uganda;

2. invita la autorità ugandesi a precedere a un'indagine approfondita e imparziale sull'omicidio e a portare dinanzi alla giustizia i responsabili, procedendo in tal modo anche per ogni altro atto di persecuzione, discriminazione e violenza contro persone LGBT e tutti gli altri gruppi minoritari; sollecita le autorità ugandesi a effettuare indagini sugli individui che hanno pubblicamente incitato all'uccisione di David Kato, nonché sulle loro organizzazioni, ruoli e fonti di finanziamento;

3. deplora il silenzio delle autorità ugandesi in merito ai discorsi discriminatori nei confronti di omosessuali e mette in risalto i loro obblighi a norma del diritto internazionale e dell'accordo di Cotonou, segnatamente il dovere di proteggere tutte le persone da minacce e violenze contro di loro, indipendentemente dalle tendenze sessuali o dall'identità di genere;

4. ribadisce, in occasione delle elezioni generali e presidenziali previste il 18 febbraio 2011, la necessità di impegnarsi contro la repressione dell'omosessualità e di adottare misure appropriate per far cessare le campagne di stampa omofobe e ogni discorso di incitazione all'odio contro una comunità minoritaria o di giustificazione generica di simili atti compiuti sulla base del genere o delle tendenze sessuali;

5. invita il governo ugandese ad assicurare alle persone LGBT e a tutti gli altri gruppi minoritari in Uganda una adeguata protezione dalla violenza e ad adottare azioni tempestive contro tutti i discorsi di minaccia o odio atti a incitare alla violenza, alla discriminazione o all'ostilità contro le persone LGBT;

6. rinnova in detto contesto la sua condanna del disegno di legge Bahati contro l'omosessualità e invita il parlamento dell'Uganda a depenalizzare l'omosessualità e a respingere in ogni circostanza l'applicazione della pena capitale; si associa all'appello del 10 dicembre 2010 del Segretario generale dell'ONU Ban Ki per la depenalizzazione universale dell'omosessualità;

7. denuncia ogni tentativo volto a istigare all'odio e sostenere la violenza contro i gruppi minoritari, compresi quelli sulla base del genere o delle tendenze sessuali; si associa all'appello che l'organizzazione di David Kato (SMUG) e altre organizzazioni hanno rivolto alle autorità e ai dirigenti politici e religiosi, nonché ai mezzi di informazione, affinché pongano fine alla stigmatizzazione delle minoranze sessuali e alle spinte verso un clima di violenza contro le persone LGBT;

8. sollecita la Commissione e gli Stati membri a inserire i militanti LGBT nei rispettivi programmi a sostegno dei difensori dei diritti umani; invita le organizzazioni non governative in Uganda a cooperare con la coalizione ugandese per i diritti umani e con le organizzazioni LGBT;

9. invita l'UE e gli Stati membri a far sì che la rispettiva politica estera, compresa la loro politica di cooperazione e di sviluppo, nei confronti dei paesi terzi, in relazione tanto alle autorità che alle ONG, tenga in debita considerazione la situazione di diritti umani di tutti i gruppi minoritari, comprese la persone LGBT, al fine di assicurare che in tale ambito siano compiuti progressi concreti; invita la Commissione, il Consiglio e il servizio europeo per l'azione esterna a fare pieno uso dello strumentario per la promozione e la tutela dell'esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT) nell'ambito delle relazioni con l'Uganda, fornendo piena protezione ai militanti LGBT in Uganda e sostenendone le attività; invita la Commissione a inserire tali problematiche nella tabella di marcia contro l'omofobia la cui l'elaborazione è stato sollecitata dal Parlamento europeo(1);

10. esprime profonda preoccupazione perché donatori internazionali, organizzazioni internazionali e organizzazioni non governative, organizzazioni umanitarie e mediche dovrebbero riconsiderare o cessare le proprie attività in taluni settori ove il progetto di legge fosse approvato e rileva che la Germania ha deciso di bloccare la metà dei 33 milioni di dollari di aiuto esterno destinati al Malawi a causa della criminalizzazione dell'omosessualità e delle restrizioni alla libertà di stampa, con successivo rifiuto degli Stati Uniti di erogare oltre 350 milioni di dollari di aiuto estero al Malawi in assenza di ulteriori colloqui sulla legge che limita le libertà individuali;

11. ribadisce la sua adesione ai diritti umani universali e rammenta che le tendenze sessuali sono un ambito che rientra nella sfera del diritto individuale alla riservatezza nei termini in cui essa è garantita del diritto internazionale sui diritti umani, secondo cui occorre tutelare l'uguaglianza e la non discriminazione e va garantita la libertà di espressione e ricorda alle autorità ugandesi i loro obblighi a norma del diritto internazionale e dell'accordo di Cotonou, il quale stipula che devono essere rispettati i diritti umani universali;

12. invita gli Stati membri e le istituzioni dell'UE a ribadire il principio che per le persone esposte a rischio di persecuzione e di trattamenti inumani e degradanti tale aspetto va considerato ai fini dello statuto di rifugiato;

13. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente/alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Presidente della Repubblica dell'Uganda, al presidente del parlamento ugandese, all'Assemblea legislativa dell'Africa orientale, nonché all'Unione africana e alle sue istituzioni.

Interrogazione alla Commissione e al Consiglio sulla violazione della Convenzione dei diritti dell'uomo da parte di Belgio e Grecia


Interrogazione con richiesta di risposta orale alla Commissione e al Consiglio
Articolo 115 del regolamento
Cecilia Wikström, Renate Weber, Sonia Alfano, Nadja Hirsch, Sophia in 't Veld, Louis Michel, Nathalie Griesbeck, Baroness Sarah Ludford, Frédérique Ries, Marietje Schaake, Gianni Vattimo, Jens Rohde, a nome del gruppo ALDE

3 febbraio 2011

Oggetto: Violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo da parte della Grecia e del Belgio

Il 21 gennaio 2011 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il Belgio e la Grecia per aver violato due articoli della Convenzione europea dei diritti dell'uomo riguardanti sia il divieto di torture o di trattamenti inumani o degradanti, sia il diritto a un ricorso effettivo. In particolare, il Belgio è stato condannato per aver esposto un richiedente asilo afghano ai rischi derivanti dalle carenze della procedura d'asilo greca, nonché alla detenzione e a condizioni di vita che violano quanto sancito dalla Convenzione.

(alla Commissione)

Può la Commissione illustrare quale tipo di valutazione è stata effettuata in merito all'adesione della Grecia all'acquis sull'asilo e specificare in quali aspetti del suddetto acquis la Grecia risulta inadempiente?

Considerando che la succitata sentenza vieta de facto agli Stati membri di respingere i richiedenti asilo verso la Grecia, può la Commissione indicare quali procedure dovrebbero seguire gli Stati membri per esaminare le richieste di protezione internazionale delle persone che dovrebbero altrimenti essere trasferite in Grecia, in conformità della legislazione dell'Unione Europea?

(al Consiglio)

Alla luce di tale sentenza, nonché della posizione del Parlamento nel 2009 sui meccanismi temporanei di sospensione dei trasferimenti quando uno Stato membro si trova ad affrontare oneri estremamente gravosi relativi ai sistemi di richiesta di asilo, e considerando infine il messaggio inviato alla delegazione del Parlamento europeo in Grecia nel dicembre 2010,

può il Consiglio (in particolare la Presidenza ungherese) assumere l'impegno di ad avviare i negoziati con il Parlamento europeo sulla revisione del regolamento Dublino II?

Scandalo delle intercettazioni in Bulgaria: intervento di Gianni Vattimo in seduta plenaria


Scandalo delle intercettazioni in Bulgaria: intervento di Gianni Vattimo in seduta plenaria

Strasburgo, Parlamento europeo. 15 febbraio 2001

Gianni Vattimo (ALDE). -
Signor Presidente, onorevoli colleghi, come cittadino italiano non sono affatto contrario alle intercettazioni quando utilizzate legalmente. In Italia sono molto utili per combattere la mafia e, nell'ultimo periodo, sono servite a incriminare il presidente Berlusconi per i reati – per ora non ancora provati – di concussione e prostituzione minorile.

Il caso del governo bulgaro appare tuttavia diverso, perché sembra che il governo bulgaro usi le intercettazioni per criminalizzare l'opposizione, incutendo diffusi timori nelle società complesse e tentando di identificare gli oppositori con i criminali comuni – cosa questa che gli permette di agire senza nessun rispetto dei diritti umani con uno Stato di polizia. Una simile situazione può soltanto condurre a un ulteriore sviluppo della violenza sociale.

Ritengo pertanto che il Parlamento e la Commissione europea debbano prestare particolare attenzione alla situazione in Bulgaria, tentando di limitare i danni che il comportamento del governo minaccia di produrre.

Clicca qui per vedere il video dell'intervento

venerdì 25 febbraio 2011

11 marzo, sciopero generale: l'appello


L’11 marzo è stato convocato uno sciopero generale per sostenere esigenze e diritti di lavoratori e ceti popolari, contro le politiche del governo e i diktat di Confindustria, che pretendono ormai di negare loro ogni rappresentanza e centralità mentre la crisi economica avanza.

Proprio l’11 e 12 marzo i governi europei vareranno regole pesantissime per il rientro forzato del debito pubblico dei paesi membri; regole che, per l’Italia, significheranno ulteriori e devastanti misure antisociali sui servizi, i salari, la previdenza, i beni comuni.

Il governo italiano ha già fatto sapere che intende adeguarsi ai nuovi parametri, accentuando i provvedimenti già avviati in questi anni.

Crescita delle disuguaglianze sociali, sottrazione di reddito e diritti ai lavoratori, abbassamento generale delle aspettative sociali e culturali del paese, indicano che - dentro la crisi – sono lavoratori, precari, disoccupati, utenti dei servizi pubblici a pagare i costi più elevati. E a vedersi negata persino la possibilità di resistere sul piano della democrazia e della rappresentanza sindacale.

Di tale scenario e di tale futuro si sono rivelate ben consapevoli le piazze degli studenti, dei precari, dei metalmeccanici, che ormai da troppo tempo chiedono uno sciopero generale e generalizzato che mandi un segnale chiaro e forte al governo italiano ed a quelli europei, alla Fiat e Confindustria, per contrastare apertamente la “lotta di classe dall’alto” dichiarata da Marchionne e dal sistema delle imprese.

Non c'è più da attendere. È tempo che questo sciopero generale e generalizzato si faccia il prima possibile.

Riteniamo per questo che lo sciopero proclamato per l’11 marzo raccolga questa esigenza e segni un primo punto di rilancio a tutto campo del conflitto sociale nel nostro paese; per riaffermare come irrinunciabili i diritti, la democrazia, i salari e la dignità di lavoratori, precari, disoccupati, studenti e utenti dei servizi.


Primi firmatari:
Valerio Evangelisti (scrittore); Gianni Vattimo (eurodeputato); Angelo D'Orsi (docente universitario, Torino) ; Manlio Dinucci (saggista e giornalista); Margherita Hack (astrofisica)
Giorgio Gattei (docente università, Bologna); Claudio De Fiores (costituzionalista); Pietro Adami (giurista); Franco Russo (giurista); Annamaria Rivera (docente universitaria); Antonia Sani (insegnante, comitato Scuola e Costituzione); Fabio Marcelli (giurista); Enrico Campofreda (giornalista); Luciano Vasapollo (docente universitario); Vittorio Agnoletto (medico); Franco Ragusa (giurista); Emilio Molinari (campagna mondiale per l'acqua); Isidoro Malandra (giurista)
Nella Ginatempo (docente universitaria, Messina); Maurizio Donato (docente Università di Teramo)

domenica 13 febbraio 2011

Vattimo, contro la verdad absoluta

Vattimo, contro la verdad absoluta

El filósofo italiano ataca las certezas capitalistas en su último ensayo

Público.es, 12 febbraio 2011, Lídia Penelo

"Si uno dice que no hay verdades absolutas, la gente se enfada", lamenta Gianni Vattimo, autor de Adiós a la verdad (Gedisa), el último libro publicado en español de este maestro de la hermenéutica, un concepto con el que fomenta la tolerancia. Vattimo, que nació en Turín en 1936, y que ha hecho suyos los libros de Heidegger y Nietzsche, se declara un anarcocomunista: para él los absolutismos son peligrosos porque implican autoritarismo y dominación.

Vattimo se rasca la cabeza, calla y duda antes de exponer sus ideas: "No nos gusta vivir en una sociedad abierta, incluso la gente que no cree en las verdades absolutas tiene la nostalgia de un referente fuerte o un padre autoritario, pero esto también es un problema político, no sólo filosófico", subraya.

Huérfanos de verdades

Dice que incluso entre sus "colegas filósofos" es muy difícil hablar de verdad y que, por eso, eligió la vía de la hermenéutica, en lugar de la metafísica. "Es como cuando Nietzs-che habla de la muerte de Dios, todos lo sabemos, pero no lo asimilamos, porque preferimos un mercado lleno de verdades absolutas que nos haga sentir seguros. Porque vivir sin red, nos convierte en huérfanos añade este pensador que se matriculó en la Facultad de Filosofía para poder trabajar y aportar dinero a su familia. El motivo de una vocación es muy complicado".

En el segundo capítulo de Adiós a la verdad, Gianni Va-ttimo habla del futuro de la religión y de un cristianismo no religioso. "No creo que el Papa se fustigue pensando que si uno no es católico va al infierno. Eso lo podían pensar en la Edad Media, pero hoy ya no. En la actualidad, hay una contradicción entre lo que se dice y la aceptación de la multiplicidad de culturas", resuelve. "Con este panorama, la filosofía lo máximo que puede hacer es sustituir la caridad por la verdad, y recordar que la verdad ha provocado muchas guerras en su nombre", sostiene este filósofo que no concede ninguna autoridad al Papa, y que no se cansa de repetir que "gracias a Dios" es ateo.

Esperanzas utópicas

Gianni Vattimo conserva la conciencia de clase y cuenta que se siente a gusto con los que comparten sus afinidades: "Prefiero la verdad de los proletarios a la de los ricos porque yo soy pobre. Y ese planteamiento es natural, sólo lo encuentran escandaloso los que dicen que tienen la verdad absoluta".

Él, que inició su trayectoria política en el Partido Radicale de Italia, explica sin pudor que todavía cobra el sueldo de diputado europeo: "Sigo siendo un estatalista, soy un social comunista. El capitalismo está en una crisis mortal, pero los gobiernos sólo subvencionan a los bancos, que ya sabemos que son unos gánsteres. Supongo que utópicamente espero la transformación de la sociedad, aunque no veo muchas posibilidades concretas. Mi optimismo se basa en creer que se cree".

Avergonzado por la gestión del Gobierno italiano, no duda en criticar al primer ministro de su país: "Silvio Berlusconi es uno de los hombres más ricos del mundo, y pasa sus noches con señoritas que después del bunga bunga no dicen nada. Le frecuentan analfabetos y eso me parece deprimente, porque este señor nos manda, y se podría permitir invitar a premios Nobel y gente que piensa, pero no le interesa. Así nos va".

Gianni Vattimo es consciente del peso de los medios de comunicación y del escenario multimedia, y apuesta por un nuevo esquema de valores, dominado por la tolerancia hacia la diversidad y la pluralidad.

sabato 12 febbraio 2011

Creo che yo debería ser papa


Creo che yo debería ser papa
Entrevista - Gianni Vattimo, filósofo
El País, 12/02/2011
http://www.elpais.com/articulo/cultura/Creo/deberia/ser/papa/elpepucul/20110212elpepicul_4/Tes

Gianni Vattimo (Turín, 1936) es el filósofo italiano vivo más traducido. Creador de la expresión "pensamiento débil", ha sido catedrático, eurodiputado y agitador político y cultural. Hace un tiempo sorprendió al mundo al anunciar su reconversión al catolicismo. En las librerías españolas hay ahora dos novedades suyas: Adiós a la verdad (Gedisa) y ¿Verdad o fe débil? Diálogo sobre cristianismo y relativismo (Paidós), donde polemiza sobre la religión con el antropólogo René Girard.

Pregunta. Usted se declara católico, pero su fe parece más la de un ateo que la de un creyente monoteísta.

Respuesta. Es que ni siquiera sé si Dios existe. El teólogo Dietrich Bonhoeffer dice que "un Dios que existe, no existe". No sé si Dios es una entidad ni dónde está. Siempre hemos pensado que estaba en el cielo. La verdad es que no puedo llamarme monoteísta. El monoteísmo tiene implicaciones de dominación, de colonización, de violencia, y desconfío de él. Tampoco soy politeísta. No puedo hablar de Dios como si fuera uno o tres o cuatro o muchos. ¿Soy cristiano o no? Es un problema que tengo, sobre todo para cuando muera y me enfrente al juicio final. Me llamo cristiano porque me siento una criatura, alguien que no se ha hecho a sí mismo. Me siento dependiente de un infinito. Y eso procede de mi lectura del evangelio. No sé si el evangelio es la única verdad religiosa en el mundo. Yo no intentaría convertir a los no creyentes.

P. Llamar a su fe cristianismo ¿no induce a confusión?

R. Es un nombre histórico. He crecido en la comunidad de la Iglesia. Y en nombre de sus principios puedo criticarla. Como Lutero criticó al Papa en nombre del evangelio. No creo que haya una religiosidad natural. Sin haber conocido el evangelio, ¿me hubiera preguntado por la existencia de Dios? No hay "la" religión, hay religiones. Yo he crecido en una y la interpreto filosóficamente, racionalmente, como una llamada del infinito del que dependo. Y llamo a ese infinito Dios y Jesús es su hijo, sin saber en qué términos.

P. Lo que no parece asumir es que la vida sea un valle de lágrimas.

R. No. Lo es muchas veces, pero no puedo aceptar que eso sea la esencia del mundo. No creo que haya que atribuir a Dios el sufrimiento. De hecho, no sé si hay que atribuir a Dios todo lo que pasa en el mundo. No sé si ha creado el universo y sus leyes. Dios es mi esperanza espiritual, espero sobrevivir como espíritu.

P. En la Biblia ve usted un Dios que no es astrónomo ni moral. ¿Qué queda?

R. El mensaje de salvación. Un mensaje de caridad a aplicar en mi relación con los otros. La humanidad: sentirse mejor en un mundo de amigos que de enemigos.

P. Dice que Dios es relativista. El relativismo ha colado la defensa del creacionismo.

R. Yo me siento más evolucionista que creacionista. Soy creacionista en la medida en que el anuncio de la salvación no es un producto de la evolución. Puede que incluso la fe sea resultado de la evolución. Yo no creo en la objetividad de lo real. ¿Existe Dios? No lo sé. Si digo que existe o que no, entro en un objetivismo que no casa con mi espiritualidad.

P. También discrepa de la tendencia de la Iglesia a prohibir.

R. Porque no creo que haya una esencia del bien y del mal. Hay condiciones de vida compartidas. La moral es el código de circulación más la caridad. Todo es convencional, salvo el respeto al otro. Y eso es bastante cristiano y bastante comunista

P. Al final, su Dios es caridad y amor. ¿Qué diferencia hay entre ambos términos?

R. Tradicionalmente se ha basado en la represión. ¿Hacemos un poco de caridad o un poco de amor? Se trata de organizar el erotismo de forma tolerante, porque no hay un orden natural del amor. Venimos condicionados por una tradición represiva, familiarista. ¿Tiene que predicar el Papa sobre el uso del preservativo? No. Si me gusta acostarme con una mujer o con un señorito, ¿cómo regularlo? Desde la perspectiva de la caridad, el divorcio está bien. No se puede obligar a dos personas a vivir juntas.

P. La Iglesia celebra las conversiones, pero sobre la suya no habla

R. Creo que yo debería ser papa, aunque soy casi el único que piensa así. Pero estoy convencido de que la Iglesia se salvará de su propio suicidio solo con un poco de pensamiento débil. Lo creo como pensador débil y también como cristiano occidental. La Iglesia está pensando que la secularización actual es solo cosa de Occidente y que los pueblos convertidos de África serán cristianos más serios. También serán más primitivos, porque creen más en los milagros e incluso practican la magia como por ejemplo el monseñor Milingo. Yo, la verdad, no me sentiría a gusto en una Iglesia dominada por esos cristianos. Espero que intervenga la providencia.

venerdì 11 febbraio 2011

Da Marchionne ad Aristotele, la lezione di Gianni Vattimo


Da Marchionne ad Aristotele la lezione di Gianni Vattimo

Se un filosofo pretende di dirvi come stanno le cose mandatelo al diavolo.

La Repubblica - Parma, 11 febbraio 2011 (di Alessandro Trentadue)

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“Un filosofo pretende di dirvi come stanno le cose? Mandatelo al diavolo”. L’invito – diretto e garbatamente irriverente – arriva da Gianni Vattimo. Lui, tra i più illustri e originali filosofi contemporanei, non risparmia quei colleghi e rivali di pensiero che si affidano a un’oggettività stabilita, e credono che le cose siano così come siamo abituati a vederle. Per Vattimo invece la filosofia non deve avere rispetto per l’Essere – cio che è – e la realtà che ci circonda. Anzi, il vero filosofo deve protestare contro l’oggettività stabilita: deve cambiare l’ordine delle cose, progettarne uno diverso. Da buon rivoluzionario del pensiero, con toni pacati e l’aria sorniona di chi argomenta sempre con ironia, Vattimo continua a difendere il suo amato esistenzialismo, dove esistere significa rivoltarsi all’ordine costituito delle cose, che non devono per forza essere – come invece sostengono quelli da mandare al diavolo – così come noi le vediamo.
Questo il tema portante di “Filosofia ed esistenza”, la lezione che Vattimo ha tenuto ieri alla Casa della Musica, inaugurando il ciclo di incontri filosofici “Pensare la vita”, progetto nato con la scommessa di stimolare in tutti – indipendentemente dal livello culturale di ciascuno – il gusto per la riflessione filosofica. Una scommessa che parte bene, vista l’affluenza al seminario di Vattimo: sala piena, più di 150 persone dentro e altrettante rimaste fuori perché sono finiti i posti a disposizione. Arrabbiate se ne vanno senza prenderla con filosofia. Dovrebbero, in realtà, perché la filosofia è un modo per non prendere troppo sul serio quello che accade sempre. Lo dice il filosofo dietro le quinte, e dopo un attimo sale in cattedra.

NATURALMENTE NO - Innanzitutto, cosa vuol dire esistere? Quesito filosofico per eccellenza. “Esistere – sostiene Vattimo – non significa affatto stare lì naturalmente”. L’esistenza è tutt’altro che adagiarsi in ciò che è dato. Sostenitore dell’esistenzialismo, Vattimo si oppone al principio fondante del naturalismo filosofico per cui, invece, noi dobbiamo accettare che le cose stanno così naturalmente, e comportarci di conseguenza.
In realtà, secondo il filosofo, molte delle cose che crediamo “naturali” per noi, non lo sono affatto per un’altra cultura o un altro paese. Ancora, più radicalmente, non lo sono nemmeno per noi in alcune circostanze. Se diciamo per esempio: “È naturale che se ho una pistola in mano io non sparo per tutte le implicazioni giuridiche e morali che il mio gesto può generare”, in una situazione in cui invece ci ritroviamo minacciati o in pericolo di vita, arriveremmo anche a usarla quella pistola.
Quindi non esiste nulla di naturale, di dato per ciò che è. L’esistenza è cambiamento, continuo progettarsi che l’individuo mette in atto a seconda delle condizioni in cui si trova. “Esistere è proprio l’opposto di stare lì naturalmente – insiste il filosofo – è piuttosto cambiare le realtà. Il vero filosofo deve protestare contro ciò che è: deve modificare l’ordine delle cose, progettarlo diversamente”.

ARISTOTELE E MARCHIONNE - Non è un caso, infatti, che l’esistenzialismo filosofico si sviluppi nei primi del ‘900, pari passo con l’impronta del sistema capitalistico-industriale marchiato Ford e Fiat (“ora meglio chiamarla Chrysler”, ammicca Vattimo). Due poteri forti che hanno stabilito un ordine oggettivo attraverso il modello del mondo basato sulla catena di montaggio. Un ordine costituito delle cose contro cui si è rivoltata l’intera intellighenzia umanistica. Dalla letteratura alla miriade di avanguardie artistiche – dadaismo, surrealismo, espressionismo, futurismo – nate proprio per opporsi all’oggettività costruita dai poteri forti, e ricercare altre forme per esprimersi e rappresentare il mondo senza limitarsi a guardarlo.

Perché, secondo la visione del filosofo, l’oggettività non è data dai fatti ma dall’interpretazione. La realtà non è ciò che appare davanti a noi, bensì la costruzione attiva del mondo che noi facciamo attraverso l’interpretazione. Ecco allora che Vattimo mette da parte il pensiero statico di Aristotele basato sulla distinzione tra fisica (il sapere di ciò che cambia) e metafisica (il sapere di ciò che non cambia), e prende invece come modello le tre domande fondamentali della filosofia poste da Kant: “cosa posso sapere?”, “cosa devo fare?”, e “cosa posso sperare?”. Sono quesiti più attinenti a quello che ci interessa come esseri esistenti capaci di provare sensazioni quali paura, rabbia e amore. “Se invece ci basassimo solo sulla distinzione aristotelica – sostiene il filosofo – l’esperienza di ciascuno di noi sarebbe insensata, e ci porterebbe a far parte del sistema oggettivo già determinato, senza possibilità di cambiarlo”. Insomma, saremmo tanti esseri “marchionnici”.

“IO STO CON I DEBOLI” - Il non accettare che l’Essere – ciò che è – sia un ordine di cose oggettivo e unico dato una volta per tutte, ma venga invece determinato dall’esperienza e dall’interpretazione di ognuno di noi prende il nome di “pensiero debole”, concetto introdotto in filosofia dallo stesso Vattimo. All’opposto, la metafisica di Aristotele – ovvero la conoscenza dell’Essere che non cambia – rappresenta il principio perfetto per chi vuole dominare: è la filosofia dei vincitori, dei forti. Mentre il pensiero dei deboli è quello della rivolta, dell’antitesi, di chi cerca di modificare l’ordine costituito delle cose. “Per questo io sto con i deboli – conclude Vattimo – perché li sento più vicini. E non perché detengono la Ragione o la Verità, ma perché sono come me: mi commuovono e mi entusiasmano più dei forti. Sto con i perdenti, insomma, e non con quel ‘Cavalier gaudente’ che ormai ha le orge contate”.